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La fata Gusmara (capitolo 2)


— La fata Gusmara è la fata più potente della terra. Le fu concessa questa potenza non solo per la sua bellezza, che sorpassa ed eclissa tutte le bellezze dell'universo, ma per il suo cuore, il suo spirito, le sue virtù, il modo con cui sa amministrare la giustizia, la carità, la sapienza.

La fata Gusmara vive sopra un'altissima montagna di marmo bianco, in un palazzo di cristallo, che domina tutto il mondo: di là essa vede tutto, sa tutto. Cento altre fate formano la sua Corte, mille geni la servono e l'obbediscono. La fata Gusmara siede sopra un trono di diamanti, da cui impartisce i suoi ordini, che vengono immediatamente eseguiti.

La fata Gusmara non respinge mai le preghiere di coloro che implorano il suo aiuto; ma per giungere a lei, per ottenere sette capelli della sua chioma d'oro che aprono, al fortunato mortale che li possegga, le porte della ricchezza, della potenza, della felicità, fa duopo attraversare quattro regni suoi nemici, che giurarono una guerra spietata a coloro che aspirano alla conquista del tesoro della Fata e tentano ogni mezzo per attraversare loro la via, per farli soccombere, prima che giungano alla meta. Infatti, pochi o punti vi pervengono.

— Quali sono questi regni? — interruppe Falco.

Nella sua domanda, nell'espressione del suo volto, divampava un ardore così appassionato, che colpì il vecchio, e fece impallidire la povera Topolina.

— Vorresti tu forse tentare l'audace e pericolosa impresa? — chiese il taglialegna.
— Perché no?
— Tu non hai né il carattere né l'energia per riuscirvi.
— T'inganni, babbo: io so volere; e quando ho deciso qualche cosa, nessun ostacolo può trattenermi; come non temo qualsiasi pericolo. —

Il vecchio scosse melanconicamente il capo.

— Tu non fai che crearti delle illusioni, figliuol mio. Per intraprendere un tale viaggio, non basta soltanto volere. Quanti altri parlarono come te e furono perduti, travolti, uccisi, prima che la loro volontà fosse compiuta! Dai retta a me, Falco: tu hai qui, senza muoverti, tutti i doni che può compartire la Fata: la potenza, perché sei re nella capanna che ti appartiene, né troveresti altrove sudditi più fedeli degli animali della foresta, che ti amano e ti temono; la ricchezza, perché sono tuoi tutti i tesori che la foresta racchiude: le frutta saporite, il miele squisito, gli alberi, da cui puoi ritrarre tante cose utili, mentre ti danno la legna per riscaldarti nell'inverno e per cuocere le pietanze; la felicità, perché hai una sorellina che ti amerà, come non ti ama mai altra donna sulla terra...

— Non mi basta, non mi basta, — gridò il fanciullo ostinato — io voglio assai più... Voglio regnare in un palazzo d'oro, di pietre preziose, avere al mio comando eserciti interi, far tremare l'umanità con un gesto, accumulare tesori sopra tesori, e soprattutto vedermi ai piedi una fanciulla bella e superba, che oggi disprezza i miei abiti, ha in orrore la mia povertà... e che domani tratterò come una serva vile. —

Falco aveva incrociato con fiero atto le braccia, teneva sollevata la testa, mentre Topolina nascondeva il suo pallido viso fra le ginocchia.

— Ed è per ottenere tutto questo che vorresti conquistare i sette capelli d'oro della fata Gusmara? — chiese il vecchio con un sarcastico sorriso.
— Sì. —

Il taglialegna scosse di nuovo il capo.

— Povero sciocco, non ci riuscirai! —

Gli occhi del fanciullo lampeggiarono di collera.

— Perché?
— L'imparerai dalla storia che sto per raccontarti, la quale ti farà meglio conoscere la Fata. Ascolta.

«Nel paese di Chincao regnavano i sovrani più malvagi e crudeli che potessero esistere sotto la cappa del cielo. Il loro regno era il regno del terrore; essi opprimevano e travagliavano il popolo, si compiacevano di crudeltà inaudite. Il re Trou e la regina Siu, che così si chiamavano, avevano fatto fabbricare un padiglione tutto di rame e quando l'inaugurarono, diedero una gran festa, alla quale avevano invitato tutte le più nobili famiglie del regno, i più bei giovani, le più belle fanciulle. A mezzanotte, quando la festa era al colmo, i sovrani si ritirarono, facendo chiudere tutte le porte mentre fuori del padiglione furono accesi dei grandi fuochi, finché le pareti non si trovarono arroventate. Gli invitati, che dapprima non si erano accorti di nulla, quando incominciarono a sentire scottare le lastre che avevano sotto i piedi e le pareti della sala, tentarono di fuggire ma inutilmente, perché ogni via di scampo era preclusa. Potete immaginarvi le scene dolorose che ne seguirono, finché la carne di tutti quei corpi non fu combusta!
Nerone non avrebbe sognato un supplizio più terribile. Il Re e la Regina, che avrebbero dovuto essere il padre e la madre del popolo di Chincao, ne furono invece i carnefici. Nessuno sfuggiva alla loro crudeltà: i fanciulli venivano infilzati in spiedi ed arrostiti; le donne squartate; gli uomini impalati.
Ciò non poteva durare: il popolo tenne dei conciliaboli segreti, e fu deciso di chiedere l'appoggio, la protezione della fata Gusmara, per ottenere il potere di distruggere i due tiranni. Ma per giungere alla Fata, bisognava attraversare i regni nemici: per questo, venne tirato a sorte fra i giovani più arditi, temerari, ambiziosi, ed uscì appunto il nome di uno dei più stimati per il coraggio e la forza di volontà. Ma ahimè! Non aveva ancora percorso i due primi regni, che già soggiaceva alle lusinghe, alle seduzioni, ai tranelli tesigli dai nemici della Fata e ponendosi contro lei, segnò la propria rovina. Così altri accintisi all'impresa, non giunsero ad oltrepassare la metà dei regni, che già erano caduti vinti.
Il popolo si disperava per tanta debolezza nei suoi eroi, ed i feroci sovrani continuavano nella lor via di orge e di sangue. Ma una mattina si presentò al capo popolo un povero fanciullo di nome Iang, dall'aspetto umile, dimesso, vestito di miseri panni, che si offrì di andare dalla Fata.
Il capo lo guardò con disprezzo e sorrise.
— Come vuoi tu, piccolo verme della terra, — gli disse — riuscire in un'impresa, dove caddero i più forti e valorosi dei nostri giovani? Come potrai evitare tu, che mai nulla godesti nella vita, nulla affrontasti, i pericoli, le seduzioni che s'incontrano nei regni nemici della Fata?
— Quali sono questi regni? — chiese Iang.
— Quello del Capriccio, della Baldoria, della Ricchezza e della Vanità.
— Oh, non mi sarà difficile resistere! — rispose con dolcezza e semplicità il povero fanciullo — perché io non mi reco dalla Fata animato dall'ambizione, dal desiderio di ricchezze e poteri, ma col solo intento di liberare i miei poveri fratelli che soffrono sotto il giogo dei tiranni che li opprimono. Perciò, nessuna tentazione potrà fermarmi nel mio cammino, nessuna offerta mi arresterà, nessun pericolo potrà farmi timore. E quando avrò compiuta l'opera mia, tornerò nella mia povera capanna a me più cara e preziosa di una reggia, ringraziando il Cielo di avermi scelto a strumento di sua giustizia e la buona Fata di aver ascoltato le mie preghiere. —

Il capo popolo fu commosso, e baciando il fanciullo:
— Ebbene va', — gli disse — ed i nostri voti ti accompagnino fino al trono della Fata. Sì, ciò che forse non è riuscito a spiriti audaci, ambiziosi, riuscirà ad un povero fanciullo, per la sua virtù e la sua innocenza. —

Topolina guardò con occhi scintillanti il taglialegna.

— Ed è riuscito? — esclamò.
— Sì, — rispose il vecchio — la sua modestia, la sua semplicità, l'impero su se stesso, lo salvarono da tutti gli agguati, lo resero prediletto ai buoni geni, che lo scortarono invisibili fino al trono della Fata la quale fu così commossa dalla tenacità e dalla perseveranza del bravo fanciullo, dal suo desiderio di sacrificarsi per gli altri, che l'accolse come un figlio, gli diè con le sue mani i sette capelli d'oro della sua chioma, gli conferì il potere di restaurare il regno di Chincao, di liberarlo dai tiranni, di farlo ricco e felice. Così la vittoria di Iang non fu tanto il frutto del suo ardire, della sua ambizione, quanto quello della sua bontà e virtù. Egli nulla chiese, nulla volle per sé.

— Iang fu uno sciocco, — interruppe con violenza Falco. — Scommetto che la sua nobile azione non fu valutata come meritava, perché il popolo è sovente ingrato verso i suoi benefattori. Io intraprenderò quel viaggio con ben altro scopo, né la Fata potrà negarmi il suo favore, quando giungerò al suo trono, come un conquistatore. Saprò combattere e vincere i suoi nemici, anche non avendo a mia difesa la dolcezza, l'umiltà; e una volta che abbia conseguito la meta e sia ritornato vincitore, saprò conservare per me i doni ottenuti con tanta fatica.

— Tu hai molta presunzione, figliuol mio, — osservò il taglialegna. — Mi sembra già di vederti correre incontro alla rovina.
— Il Cielo disperda il tuo augurio; ma se anche fosse, non cederò senza lotta; e ti assicuro che preferisco cento volte la morte, alla vita inerte che qui conduco.
— Tu parli da insensato, e non ho più nulla da risponderti: parti, va' dove credi: io e Topolina resteremo a pregare per te. —

Falco senza più rispondere, era entrato nella capanna, e Topolina si arrampicò sulle ginocchia del vecchio, gli cinse il collo coi suoi esili braccìni, e le sue labbra premettero la faccia rugosa di lui.

— Babbo, non posso lasciarlo partire solo, — sussurrò. — Appunto perché è un insensato, ha bisogno di aver vicino a sé chi lo sorvegli, gli impedisca di commettere delle follie. Babbo, permetti che vada con lui, e ti assicuro che presto ritornerà sano e salvo fra le tue braccia. —

Il taglialegna aveva le lacrime agli occhi e ricambiava i baci della bimba.

— Povera Topolina, non pensi ai pericoli ai quali tu stessa stai per esporti? Quello stolto non merita il tuo sacrificio.
— Non è un sacrificio, perché gli voglio bene, né potrei vivere senza di lui. Babbo, perdonami se ti lascio per seguirlo; ma Falco ha più bisogno di te del mio aiuto, del mio consiglio.
— Forse hai ragione, Topolina mia; e dal momento che Falco ha deciso di partire, io non lo tratterrò, e tu l'accompagnerai. Forse sarai messa a dure prove; ma come il povero Iang, la tua coscienza pura e la tua devozione, troveranno grazia presso ai buoni geni che ti proteggeranno. Sii saggia per il fratello tuo; adopera la tua esperienza per ricondurlo a me guarito, ed avrai un giorno il premio che meriti.
— Oh, il premio cui aspiro è quello di ritornare con Falco, presso te, per non separarci mai più! —

Il vecchio e la bimba mescolarono insieme lacrime, baci e carezze, mentre Falco sedeva pensoso nell'interno della capanna, nascondendosi il volto fra le ginocchia.

— Falco! — chiamò sommessamente Topolina.

Il fanciullo trasalì, alzò il capo, guardandola corrucciato.

— Che vuoi?
— Il babbo mi permette di partire con te. —

Gli occhi del fanciullo scintillarono per la gioia improvvisa.

— Dici il vero? Ci lascerà partire?
— Sì, ho già tutto combinato ed io non ti darò noia, vedrai: ne parleremo domani: ora è tempo di riposare. 

Ma Topolina lasciò che Falco ed il vecchio si ritirassero nel loro angolo, poi uscì sola sola dalla capanna. Era triste, la povera bimba, pensando al grave compito che si era assunta e si chiedeva come avrebbe potuto mantenerlo.

— Sono molto temeraria, — diceva a se stessa — pensando di potere da sola venire in aiuto a Falco, che non mi ascolta, non mi cura, non sogna che quella cattiva fanciulla, per cui si espone ad ogni sorta di pericoli. Come potrò io evitargli tutti gli agguati, che troverà nei regni che dobbiamo attraversare insieme? Scamperò forse nemmeno io? Oh! buona fata Gusmara, datemi voi un consiglio, venite in mio aiuto. —

Topolina si era inginocchiata sull'erba, aveva giunte le mani e teneva gli occhi rivolti al cielo. Allora vide un merlo bianco, che sempre la seguiva nella foresta, scendere verso lei.

— Topolina, — le disse — la fata Gusmara ti consiglia di strappare una penna della mia ala e portarla con te: quando ti troverai in pericolo, non avrai che da agitarla ed io verrò in tuo aiuto. —

Topolina sorrideva con le lacrime agli occhi.

— Oh, mio caro merlo bianco, ringrazia per me la buona Fata; dille che seguirò il suo consiglio! Però non vorrei farti del male.
— Soffrirò volentieri per te, Topolina: prendi prendi. — Nello svellere la penna, una goccia di sangue cadde e si cambiò in un grosso rubino.
— Raccoglilo, — disse il merlo — perché potrà servirti. Ma ciò che ti raccomando, è che Falco nulla sappia del mio dono: guai se non mi obbedisci!
— Sta' pur certo, buon merlo bianco, che ti obbedirò. —

Il merlo spiccò il volo in alto e da un cespuglio uscì una piccola marmotta bianca, così piccola, che entrava in un pugno della mano di Topolina.

— La fata Gusmara ti consiglia di portarmi con te, — disse. — Nascondimi in seno, non ti darò noia, né potrò dar sospetto a Falco, se mi vede. Procura di non smarrirmi.
— Cara, cara marmottina bella, ringrazia la benefica Fata: seguirò il suo consiglio, né alcuno ti sottrarrà a me. 

Topolina si era alzata, quando si vide dinanzi un grosso cinghiale, il più grosso ed irsuto della foresta. La testa era di colore misto di grigio, di rosso, di nero; il corpo fulvo con macchie nerastre; la coda pendente, distesa, bionda, eccettuato l'estremità che era nera, il collo coperto di grosse setole.

— Topolina, cara Topolina, voglio venirti anch'io in aiuto, — disse. — Non dimentico la cura che avesti di me, quando venni ferito al piede e voglio dimostrarti che non sono un ingrato. Stacca una delle setole dal mio collo, ed allacciala con un cordoncino al tuo, e se ti avvenisse di correre qualche pericolo di morte, bruciane un pezzetto e sarai salva. Però, che Falco ignori questo talismano che porti con te.

— Falco l'ignorerà ed io ti ringrazio, mio buon cinghiale.
— Credi tu, Topolina che io voglia dimenticarti? — esclamò una leggiadra gazza, che appollaiata sopra un grosso ramo aveva assistito in silenzio a tutte quelle offerte. — Ho ascoltato la tua preghiera alla Fata e ne fui commossa. Credevo le chiedessi di trasformare i tuoi cenci in porpora, di farti ricca e felice: invece non pensavi che a mantenere la promessa fatta ad un povero vecchio di venire in aiuto ad un compagno, che non ti merita, non chiedendo nulla per te, col cuore pieno di fede, di speranza e di amore. Ebbene tu hai diritto alla mia stima, alla mia assistenza. Raccogli la ghianda che io feci cadere dall'albero a' tuoi piedi e nascondila gelosamente: essa ti servirà se ti troverai priva di nutrimento, smarrita in qualche luogo, e se un pericolo imminente ti sovrastasse.

— Grazie grazie, buona gazza; grazie, — disse Topolina raccogliendo la ghianda, nascondendola gelosamente — Ah, come vorrei ricompensarvi tutti del bene che mi fate e quanto mi rincresce lasciarvi. Ma tornerò!
— Sì, ritornerai, ritornerai, — ripeterono diverse voci, non mai prima udite.

Come risplendeva il volto di Topolina quando rientrò nella capanna! Con quali sguardi teneri avvolse il vecchio ed il fanciullo, che dormivano ignari di quella misteriosa protezione che vegliava su di loro per opera della piccola derelitta da essi raccolta!

La luna splendeva chiara nell'azzurro del cielo e pioveva i suoi raggi sulla povera capanna del taglialegna, ove Topolina si coricava sorridendo felice!

Da "I sette capelli della fata Gusmara" di Carolina Invernizio
tratto da: intratext.com