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Nel regno della fata Gusmara (capitolo 9)


Il sole sprazzava fasci di luce dall'orizzonte, quando Falco, Topolina e Nana uscirono dalla casetta. Zor aveva raccomandato alla fanciulla di non rivelare a Falco chi ella fosse e Topolina non avrebbe certo dato un dispiacere alla cara Nana, scoprendo il suo segreto. Dinanzi alla casetta era uno strano veicolo che aveva un piccolo baldacchino d’argento, posato su quattro ruote di gomma, tirato da cavallini bianchi come la neve. Lo guidava un moretto non più alto di uno stivale alle scudiera, vestito di panno argentato, con in capo un berretto a sonagli. Nana e i due giovinetti presero posto dentro a cotesto legno che partì come il lampo.

Nana aveva procurato a Topolina un abito da fanciulla di un color azzurro pallido che faceva apparire la sua figurina ancora più delicata; sembrava impossibile che Falco dovesse rimanere indifferente davanti a quel visino di bimba così incantevole, dai grandi occhi luminosi, dalla fronte pura, serena, incorniciata da capelli nerissimi che le scendevano in trecce sulle spalle. Ma il giovinetto non le badava. Anch'egli era stato rivestito di un costume nuovo da paggio, che rendeva la sua figura più alta e flessuosa. Però il suo volto, per quanto bellissimo, non rifletteva la bontà, ma solo l'ostinazione e la fierezza.

La carrozzella correva correva, e davanti agli occhi dei due giovinetti passavano interminabili pianure e colli ubertosi di una lussureggiante vegetazione.

— Noi adesso attraversiamo la Valle dei buoni — disse Nana — e di tutto quanto vedete all'intorno, ne sono proprietari quattro fratelli che dedicano tutta la loro ricchezza e la loro intelligenza a benefizio dei lavoratori. Essi dicono, giustamente, che la proprietà è formata da una parte dal capitale, dall'altra dal lavoro, perché senza lavoro rimarrebbe infruttifera, quindi il lavoro essendo capitale anch'esso, la proprietà deve essere divisa in parti eguali fra padroni e lavoratori. Non basta: i quattro fratelli dividono ancora fra i loro coloni quella porzione cui ciascuno di essi ha diritto affinché costoro possano formarsi un fondo per la loro vecchiaia.
— Oh, i buoni signori, e come saranno adorati! — esclamò Topolina.

Nana scosse il capo.

— Lo credi? Ebbene t'inganni. La gente ignorante non ne ha mai abbastanza, non conosce la gratitudine e spesso i beneficati si sono lagnati ancora dei loro benefattori.
— Ciò non succederebbe a me, se fossi il padrone di questi terreni, — osservò Falco. — Quando regnerò sugli altri, saprò tener tutti a bacchetta. —

Nana non rispose, ma un lieve sorriso sfiorò le sue labbra. Erano giunti in riva ad un largo corso d'acqua, nel cui mezzo era un irto scoglio e al di là vedevasi l'alto monte di marmo bianco, su cui posava il palazzo della fata Gusmara, che sotto i raggi del sole sembrava tutto di diamanti. Nana, che era scesa dalla carrozzella coi due giovinetti, lo fece loro osservare.

— Oh, come è bello e risplendente! — esclamò Topolina, giungendo le mani. — Ma come faremo ad attraversare questo corso d'acqua e ad arrivare lassù?
— Certo, se foste voi soli, non ci riuscireste mai; ma siete con me, e con me nulla è impossibile. —

Falco guardava quasi con scherno quella vecchina, che vantava tanto potere.

— Chi siete voi dunque? chiese.
— Lo saprai fra breve.
— Non vi prendete poi gioco di noi! — ribatté Falco. — Non vedo in quest'acqua alcuna barca che possa tragittarci.
— La barca ci sarà, — rispose sorridendo Nana — solo vi avverto che, passando presso lo Scoglio del Mago (che è quello che vedete là in mezzo abitato da un Mago che si diverte a far capovolgere le navicelle costrette a rasentarlo ed a prendere poi gli annegati per cibarsene) di stringervi a me, e non pronunziare la minima parola, qualunque sia la domanda che vi rivolga e le provocazioni che vi lanci.
— Oh, non sarò così sciocco da parlare! — disse Falco — né da perdere in un istante ciò che ho guadagnato finora.
— Allora, andiamo. —

Il baldacchino d'argento della carrozzella si era trasformato in una navicella a vela, ed il piccolo cocchiere si cambiò in nocchiero. I cavallini rimasero sulla riva e si misero a pascolare l'erba. La navicella fendeva silenziosa l'acqua, ciononostante, giunta che fu a poca distanza dallo scoglio, i due giovinetti videro sopra esso seduto uno spaventevole gigante che gridò agitando le braccia:

— Di qui non si passa. Cosa volete voi? —

Falco e Topolina si strinsero a Nana, senza rispondere.

— Olà! — gridò il Mago. — Siete forse sordi? Non sapete che il padrone dell'acqua sono io, e che nessuno può tragittare dall'altra parte senza il mio permesso? Fermatevi e rispondetemi, se non volete subire le conseguenze della mia collera! —

Falco e Topolina si mantenevano in silenzio, ma come il cuore della fanciulla batteva forte forte, temendo essa un'imprudenza del fratello! La navicella continuava a scorrere silenziosa sulle acque.

— Ah, voi mi sfidate? — gridò il Mago. — Aspettate, vi farò veder io, che nessuno si burla di me. —

E incominciò a lanciare dei grossi ciottoli, nessuno dei quali giunse a toccare la navicella, cadendo invece nell'acqua, che essi cospargevano di spuma. Il Mago bestemmiò ed afferrato un grosso tubo si mise a soffiarvi dentro. Un vento furioso fece sballottare la navicella, che nulladimeno proseguiva la sua strada.

— Ah, vi ho colti, vi ho colti, — urlò il Mago.

Falco aprì la bocca per gridare:

— Come? In qual modo ci avete colti? —

Ma Nana fu pronta a tuffargli il capo nell'acqua; così il giovinetto non potè pronunziare parola e la navicella passò come una freccia lo scoglio giungendo dall'altra parte. Falco stordito, mezzo affogato, si rivoltò con ira a Nana.

— Belle maniere! Per poco non mi avete affogato — disse.
— E ancora mi rimproveri! — esclamò Nana. — Non sai che se tu avessi pronunziato una sola delle parole che ti erano venute alle labbra, tutto era finito per te?
— Sciocchezze! Voi volete spaventarmi; ma non sono mica così gonzo da credervi.
— Tu alzi la cresta perché ormai abbiamo passato il pericolo, — osservò Topolina. — Oh, buona signora, non badate alle sue parole! Perdonatelo.
— Egli può ringraziare di essere in tua compagnia, — disse Nana severamente — altrimenti l'avrei abbandonato al suo triste destino, nelle mani del Mago. —

Falco rimase mogio mogio senza più parlare. Quando furono sbarcati sulla riva, quasi ai piedi della montagna di marmo, Nana dette un ordine al moretto, che trasse tosto la navicella a terra e della vela formò rapidamente un pallone. Falco e Topolina guardavano ammirati, e quando la costruzione del nuovo congegno aereo fu terminata, non poterono a meno di esclamare:

— Oh, come è bello!
— Ingegnoso!
— Ora capisco in qual modo giungeremo lassù, — esclamò Falco. — Oh, fatina Nana, non dubito più della vostra potenza.
— Io ammiro invece la vostra bontà verso noi, che ne siamo indegni, — soggiunse con dolcezza Topolina. — Né posso altrimenti dimostrarvi la mia riconoscenza, che amandovi come se foste mia madre.
— Ed è ciò che desidero da te, Topolina mia, — rispose allegramente Nana. — Via, figliuoli, è tempo di salire e di levare l'ancora. —

Il pallone s'innalzò maestosamente dal suolo e Falco e Topolina, appoggiati alla sponda della navicella, guardavano il panorama che si stendeva sotto loro e che impiccoliva a vista d'occhio, provando poi la sensazione che fosse la terra che discendesse, mentre essi rimanevano immobili. A misura che le cose si confondevano e svanivano, Falco fu preso da un vivo timore. Se la navicella si staccasse prima di arrivare alla cima del monte? Se dovesse precipitar giù? Se il vento conducesse il pallone da un'altra parte?
Il giovinetto si volse a guardare Nana e la vide sorridere: forse leggeva nel pensiero di lui e rideva della sua paura; onde egli arrossì di vergogna e di confusione. Capì che era prudente tacere, mordere il freno, finché si trovava alla mercé degli altri. Ora egli aveva bisogno di aiuto; ma la cosa sarebbe andata ben diversamente quando avrebbe posseduto i sette capelli d'oro della fata Gusmara. Allora sarebbe stato il solo a comandare e gli altri avrebbero obbedito.  Il pallone s'innalzava sempre ed un nuvolo di colombe bianche svolazzavano intorno alla navicella.

— Oh, le belle colombine! — esclamò Topolina sporgendo una mano, come se volesse carezzarne qualcuna.

Una di esse venne tosto a posarsi sul suo capo. Nana era raggiante.

— Sono le colombe della Fata, — disse — che vengono a farti festa. —

Anche Falco tentò di prenderne una, ma non gli riuscì; si allontanavano da lui, mentre invece volteggiavano intorno a Topolina, si posavano sopra le sue spalle, porgevano il becco perché le baciasse. Intanto il pallone era giunto sull'ampia spianata della montagna, ove sorgeva il palazzo di cristallo della fata Gusmara.
Appena scesi dalla navicella, udirono una fanfara trionfale e al tempo stesso, delle fanciulle e dei giovanetti,  che indossavano splendidi costumi di panno argentato, con corazze tempestate di brillanti ed elmetti di argento, avanzarono per porgere dei fiori a Falco, a Topolina ed a Nana.

Questa disse ai due giovanetti:

— Sono le guardie del corpo della fata Gusmara, che ve le manda incontro per farvi onore. —

Dalle porte di cristallo del palazzo, spalancate, si vedeva interiormente il trono di brillanti su cui sedeva la fata Gusmara, la quale da quel trono regnava su tutto il mondo. Impossibile descrivere la bellezza di lei! Falco e Topolina non ne avevano mai veduta, né sognata una uguale. I capelli d'oro le scendevano in onde fino ai piedi; l'incarnato era un misto di gigli e di rose, gli occhi azzurri, mentre sapevano imporre, comandare, avevano altresì sguardi di una dolcezza, di una bontà infinita; la bocca vermiglia schiudendosi ad un sorriso delizioso, scopriva denti che sembravano perle in un astuccio di corallo. La fata Gusmara indossava una tunica tutta bianca, di stoffa e foggia meravigliose e portava in capo un semplice filo di perle che valeva tesori. Il trono su cui sedeva era tutto composto di brillanti di una grossezza inverosimile, incassati nell'argento. La sala del trono era custodita da guardie di statura atletica; all'ingresso, stavano due elefanti bianchi. Nana ed i due giovinetti, preceduti dalla guardia del corpo, si avanzarono verso il trono della Fata.
Falco era turbato, commosso; Topolina invece non aveva che sguardi di soave ammirazione per la Fata e sorrideva felice. Ad un tratto si fece nella sala del trono un gran silenzio e la voce della Fata, una voce che pareva musica di paradiso, pronunziò queste parole:

— Siate i benvenuti, figli miei. Ti ringrazio, Zor, di aver mantenuto la tua promessa e qui condotto tu stessa i tuoi protetti. —

Così dicendo tese la sua manina di neve a Nana che la baciò con gran fervore. Al nome di Zor, Falco spalancò gli occhi, guardò sbalordito Nana, perché gli venne il pensiero che ella fosse la piccola marmotta prediletta da Topolina fattasi schiacciare per lei. Ma allontanò subito un tal pensiero.

— Zor è morta, — disse. — Ed è per caso che la Fata ha dato questo nome a Nana. —

Intanto erano stati disposti innanzi al trono tre alti scanni. In quello di mezzo, venne fatta sedere Nana che aveva alla sua destra Falco e alla sua sinistra Topolina. La sala del trono formava un ammirabile quadro, perché era gremita di tutte le notabilità del regno nelle più ricche, sfarzose abbigliature, nei più abbaglianti costumi, ciò che faceva ancora più spiccare la lussuosa ed elegante semplicità della Fata, la sua magica bellezza. Tutti sapevano che si doveva giudicare il giovinetto, venuto alla conquista dei sette capelli d'oro e tutti attendevano ansiosi.

— Falco, — disse la Fata accennandolo con la mano — alzati e parla. Che facesti tu per venire in possesso del tesoro agognato da tutti, che ben pochi riescono a conquistare? —

Falco aveva ripreso la sua baldanza.

— Fata possente, — rispose — la mia presenza qui, deve dimostrarvi che ho saputo superare tutti gli ostacoli per giungere al premio agognato.
— Sì, lo vedo; ma fosti tu solo a compiere così difficile impresa? —

Falco tremò; ma la sua audacia prese il sopravvento: sapeva che in ogni modo Topolina non l'avrebbe smentito.

— La mia sorellina che mi accompagna, — disse — volle seguirmi, credendo ingenuamente di venirmi in aiuto; ma spesso mi fu d'inciampo; e sebbene le sia riconoscente dei suoi buoni propositi, debbo dichiarare che forse, senza lei, sarei giunto prima ai piedi del vostro trono.

— Ingrato, ingrato! — mormorò Nana con indignazione. Ma nessuno la sentì.

La fata Gusmara si volse a Topolina.

— E tu che ne dici, bimba cara? —

La fanciulla arrossì e con accento timido rispose:

— Io, buona e possente Fata, non ebbi altro desiderio che di allontanare ogni pericolo da Falco, rendergli meno malagevole la via e, se non sono riuscita nel mio intento, gliene domando umilmente perdono. —

Si udì un lieve mormorio e tutti gli occhi si rivolsero benevoli su Topolina. La Fata non si scompose; sorrideva di un sorriso celestiale.

— Zor, — disse con voce fattasi più alta e chiara — tu, che sotto la forma di una marmottina fosti la compagna indivisibile di Falco e di Topolina nel loro viaggio fino al regno della Ricchezza, ove dovevi lasciarli, racconta quanto avvenne, gli episodi accaduti e la parte che ciascuno dei due giovinetti disimpegnò. 

Falco sentì un fremito percorrergli le vene. Era proprio quella Nana, che egli aveva ancora insultata all'ultimo momento, Zor, la piccola marmottina da lui spesso derisa e maltrattata? Avrebbe voluto impedirle di parlare; ma era forse possibile di farlo in quel luogo, dinanzi a colei che aveva su tutti un diritto di assoluto comando ed avrebbe a lui stesso imposto di tacere?nOnde rimase muto e fremente.

— Mia Sovrana, — disse Zor raddrizzando la sua piccola persona e con una voce che scosse tutti — avrò l'onore di rivelarvi l'intera verità e ch'io sia punita, se mento in cosa alcuna. Le preghiere che fino da bimba Topolina vi rivolgeva, senza conoscervi, perché faceste piovere le vostre grazie sul povero taglialegna e sul figlio che l'avevano raccolta, commossero il vostro generoso cuore. Allora, mi affidaste l'incarico di vegliare sulla vostra protetta e sui suoi benefattori. Poiché Falco, invaghitosi di una fanciulla superba e cattiva, disconoscendo la buona e soave creaturina che aveva al fianco e che l'amava più di una sorella, si mise in capo di recarsi alla conquista dei vostri sette capelli d'oro, Topolina chiese di accompagnarlo e vi pregò acciocché le veniste in aiuto, evitaste a lei ed al suo fratellino tutti gli agguati che avrebbero trovato nei regni a voi nemici.

— Ricordo la sua calda, innocente preghiera, tutta rivolta al bene degli altri, — interruppe la Fata. — Fu allora che ti mandai a lei sotto la forma di una marmottina, perché ella potesse portarti con se, e volli che tutti i buoni geni del bosco ove abitava, i quali l'amavano, le dessero ciascuno il suo talismano, col patto che ella non ne parlasse a Falco.

— E Topolina non ne parlò mai! — soggiunse Nana, mentre Falco volgeva degli sguardi corrucciati alla fanciulla.— Essa ha compiuto la sua missione nel modo più degno; né la sua bontà, la sua dolcezza si smentirono giammai, a malgrado delle ingratitudini di Falco. —

Qui Nana fece l'intero racconto del viaggio dal giorno della partenza fino al giorno in cui aveva abbandonato Topolina, dopo averle salvato la vita. Tutti ascoltavano silenziosi, commossi, ammirando la pazienza, la generosità di Topolina, il suo affetto intenso per il giovinetto che l'aveva raccolta ed amava più che se le fosse fratello. Falco era fortemente turbato, non potendo da una parte disconoscere quanto dovesse a Topolina, dall'altra parte persuaso che anche senza lei, avrebbe saputo difendersi e sfuggire ai rischi incontrati nel suo viaggio. Non aveva poi scontato il suo debito di gratitudine, allorché si era lanciato sul rogo per morire con lei?

Nana aveva finito il suo particolareggiato racconto, e Topolina confusa abbassava gli occhi, quando la Fata a lei si rivolse.

— Ora racconta tu, figliuola mia, — le disse — quanto è accaduto a te ed a Falco, dopo che Zor vi aveva lasciati.

Il cuore batteva fortemente alla fanciulla, ma essa obbedì subito. Descrisse il loro viaggio attraverso il regno della Vanità, mettendo in luce i meriti del fratello ed evitando ciò che poteva tornare vantaggioso a lei o procurarle una lode. Parlò della loro fermata alla casa della gatta bianca, del pericolo che avevano sfuggito di servire di pasto a quei vampiri, dell'agguato teso loro dal vecchio che li aveva inviati alla Valle del dolore, e come di qui potessero sottrarsi alle torture ad essi inflitte con l'ultimo talismano datole dalla gazza.

— E quando disperavo, — proseguì — di non aver più mezzi per sfuggire le insidie che ancora potevano tenderci prima di giungere a voi, Fata potente; mentre piangevo per la ferita di Falco; ecco giungere la salvezza, ecco schiudersi il paradiso con la comparsa della mamma Nana, della mia adorata Zor che avevo tanto pianta, e che a malgrado la sua promessa, temevo di non più rivedere. Perdonatemi di aver dubitato un istante e punitemi se ho mancato in qualche cosa, ma siate indulgente col povero Falco, al quale, se manca qualche volta la saggezza e la riflessione, pulsa però in petto un cuore buono e generoso. —

Vivi applausi accolsero la conclusione del discorso di Topolina, fatto con tanta naturalezza e semplicità. Falco ne apparve vivamente commosso, ed attendeva con ansia il responso della Fata. Perché toccava ormai a lei a decidere, a consegnare i sette capelli della sua chioma d'oro. La fata Gusmara alzò la mano in atto a un tempo regale e gentile per imporre silenzio. Nessuno più fiatò.

— Voi avete sentito tutti i particolari della spedizione dei due giovinetti, preso parte ai loro sforzi per giungere ad ottenere il premio desiderato, e vi siete commossi alle loro avventure, — disse la Fata, rivolgendosi ai dignitari della Corte, ai suoi fedeli sudditi. — Ebbene, io lascio a voi stessi giudicare chi meriti la potenza, la ricchezza, la gloria, che ad uno di essi spetta col dono dei miei capelli. —

Falco era divenuto pallido e con accento tremante:

— Io solo, — disse — ebbi l'idea di tale conquista, a cui Topolina non doveva partecipare; essa mi ha seguito al solo scopo di farmi compagnia; perciò non vorrà togliermi ciò che a me spetta.
— Oh, no! — rispose pronta Topolina. — È anche assai, se ebbi la fortuna di potervi ammirare, buona Fata, e di rivedere la mia diletta Zor; non desidero, non voglio altro.
— Io però non l'intendo così, — disse la Fata. — Perché non basta per la conquista dei sette capelli d'oro, giungere qui sani e salvi, dopo aver affrontato i pericoli, le seduzioni che s'incontrano nei miei regni nemici, ma bisogna dimostrare di possedere un'anima pura, innocente, scevra da ogni ambizione, da ogni cattivo desiderio. Se io dessi a Falco la ricchezza, la potenza, la gloria, egli ne farebbe un cattivo uso che lo renderebbe un giorno infelice, disperato; concedendo invece a te tali favori, potrai render felice tuo fratello, te stessa e gli altri. Così ho deciso. Che ne dite?

— Sì, sì, sia premiata Topolina! — si gridò da ogni parte.
— Essa sola merita i capelli d'oro della Fata; essa sola deve averli! — si aggiunse.

Falco, impressionato da quella sentenza, dall'impeto di quella giustizia clamorosa, sincera, era divenuto pallido come un morto.

— Questa è un'ingiustizia, — mormorò.
— Oh, mia buona Fata, ve ne prego, accontentate mio fratello, — supplicò Topolina. — Io non ho alcun desiderio di ricchezze né di poteri; non bramo che ritornare alla povera capanna, ove il vecchio taglialegna aspetta che io mantenga la mia promessa di ricondurgli il figlio. Quando la mia missione sarà compiuta, io non chiederò alla buona Zor che di lasciarmi finire i miei giorni presso lei.
— No, la tua missione non è ancora compiuta, — disse gravemente la fata Gusmara. — Col conferire a te il potere e le ricchezze, ho in mira non solo di distruggere tutti i malefizi dei regni miei nemici, e di renderli a me favorevoli, ma di riscattare tutte le colpe di Falco e vederlo un giorno degno di ricevere dalle tue mani il tesoro tanto agognato.
— E non potrei, mia buona Fata, offrirglielo adesso?
— No, non lo permetto, né è in tuo potere il farlo. Solo il giorno in cui avrà compreso che il tesoro più grande di questo mondo è una pura coscienza e l'affetto disinteressato di una fanciulla, allora tu potrai accontentarlo. Adesso, mia piccola Zor, vieni tu stessa a tagliare i sette capelli dalla mia chioma ed intrecciare il braccialetto che dovrà cingere il polso di Topolina, il quale essa non potrà più togliere fino a tanto che non mi piaccia. —

Zor obbedì tutta raggiante agli ordini della Fata. In un momento i sette fili d'oro furono tagliati, intrecciati insieme, formando un cerchio sottile che la Fata stessa cinse al polso sinistro della fanciulla. Il piccolo cerchio si strinse, come se vi fosse saldato.

— Da questo istante, — disse con voce dolcissima la Fata — a te è conferito ogni potere. Tutti obbediranno ad ogni tuo cenno; avrai ricchezze quanto vorrai e qualsiasi tuo desiderio verrà soddisfatto.
— Io desidero, buona Fata, che Falco non sia in collera con me. —

Falco sorrise con amarezza.

— Non lo sono, — rispose. — Ma è certo che se un giorno non ti avessi raccolta, oggi non mi toglieresti ciò che dovrebbe essere mio di diritto. —

Un brusco mormorio accolse quelle parole.

— Tu sei cattivo, — disse la Fata — perché rinfacci un benefizio a chi ti ha ricompensato mille volte ad usura, venendoti in aiuto in ogni frangente. Ma ti compatisco perché l'amor proprio ti accieca, perché non comprendi la giustizia del mio operare e la bontà della fanciulla che Dio posò al tuo fianco. Però un giorno mi ringrazierai di quanto oggi ho fatto.

E volgendosi a Nana:

— Zor, mia fida ancella, mantengo oggi la promessa che un giorno ti feci: tu seguirai Topolina, né l'abbandonerai più.
— Oh, grazie buona Fata, grazie! — esclamarono con entusiasmo Nana e Topolina, baciando la manina gentile di Gusmara e bagnandola di lacrime.

La Fata le sollevò, stringendole entrambe al suo petto e baciandole sulla fronte.

— Ora andate, — disse con voce commossa — e non mi dimenticate: io anche da lontano veglierò su voi. 

Ella fece un cenno di congedo per nascondere la sua profonda commozione. Topolina venne condotta in trionfo fino alla navicella del pallone, ove presero posto anche Zor e Falco. Questi tentava invano di nascondere il suo avvilimento. Rimaneva pallido, muto, colle sopracciglia fortemente aggrottate sotto l'oppressione dei pensieri. Quando il pallone incominciò la sua lenta discesa dalla montagna, si udì uno scoppio formidabile di applausi. Era il saluto che tutto un popolo festante mandava a Topolina, la conquistatrice dei sette capelli d'oro della bella Sovrana che tutto il mondo amava ed ammirava!

Da I sette capelli della fata Gusmara di Carolina Invernizio
tratto da: intratext.com