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La corona rubata - Fiaba dalmata




Un Re aveva tre figli a cui voleva un sacco di bene.

Come tutti i sovrani amava molto cacciare e un giorno organizzò una battuta con il suo Primo Ministro. Dopo essersi destreggiato con valore, il Re che si era molto stancato vide un rigoglioso albero e pensò bene di trovare riparo sotto l'ombra dei suoi generosi e forti rami. 
Quando si svegliò si accorse di non avere più la corona in testa. Domandò al suo Primo Ministro ma questi cascò dalle nuvole. Il Re tornò a casa su tutte le furie e, sospettando del suo Primo Ministro, non ci pensò né due né tre e lo fece condannare a morte.

Il Re ignorava che a rubargli la corona era stata la Fata Alcina, di professione Regina delle Fate.

La perdita della corona aveva cambiato il carattere del Re, che si chiuse in camera e diede ordine che nessuno osasse venire a cercarlo. I figli, che ignoravano l'accaduto, cominciarono a preoccuparsi.
Il maggiore disse ai suoi fratelli:« Deve essere successa una disgrazia che nostro padre non vuole che sia conosciuta ». 
Dobbiamo fare qualcosa. Essendo un figlio giudizioso pensò bene di andare a consolare il suo genitore.  Ma il Re alla sua vista montò su tutte le furie e lo cacciò in malo modo.
« Voglio provare anch'io» disse il figlio di mezzo, ma anche lui non ebbe miglior fortuna e tornò tutto sconsolato. 
Il figlio più piccolo si chiamava Beniamino perché era il preferito. 
Anche lui si recò nella stanza del padre e con buone maniere lo pregò di raccontargli cosa mai gli fosse successo.
« A te caro figlio racconterei tutto - rispose il Re, - ma questo è disonore troppo grande, scusami ma non posso dirti niente.»
Il figlio, deciso ad aiutare il padre, così continuò: « Piuttosto che continuare a vederti soffrire, preferisco togliermi la vita » e avvicinò al petto una pistola.
« Fermati figlio mio - gridò il Re spaventato, - ti racconterò tutto» e così rese partecipe il figlio del furto capitatogli e del disonore che ne era conseguito. Beniamino promise di non dire niente ai fratelli e spiegò al suo genitore che la corona gli era stata sottratta dalla Fata Alcina, il cui massimo divertimento era farsi beffe degli uomini e soprattutto dei Re.
« Ma non preoccupatevi, caro babbo - disse Beniamino, - vi prometto che girerò tutto il mondo fino a quando non la troverò. O tornerò con la corona o non mi rivedrete mai più. »
Sellato il cavallo, partì di tutta corsa finché arrivò a un crocevia. Tre erano le strade, ognuna segnata con un cartello.
Su una pietra c' erano scritte queste parole: «Chi va per di qua, tornerà », sull' altra: « Chi va per di qua, chissà» e sulla terza: «Se tu vai laggiù, non torni più ». 
Dopo diversi ripensamenti, Beniamino imboccò la terza strada.
Dopo aver attraversato boschi, superato dirupi, affrontato belve feroci, Beniamino fu costretto a proseguire a piedi finché non giunse in prossimità di una casetta. Avendo una gran fame, bussò alla porta.
« Chi è? » gli chiese una voce.
« Un povero e stanco cavaliere senza cavallo che domanda un po' di ristoro. »
La porta si aprì e fece la sua comparsa una vecchia che, stupita, lo ammonì: «Non venire dentro, perché se arriva mia figlia ti ucciderà e poi ti mangerà. lo sono la madre di Bora, aspetta qui fuori che ti porto qualcosa da mangiare ».
Dopo aver mangiato, Beniamino raccontò alla vecchia il motivo per cui aveva intrapreso quel lungo e faticoso viaggio.  La vecchia decise di aiutarlo e lo fece entrare in casa e, all'arrivo della figlia, lo nascose sotto il letto.  Dopo aver cercato di togliere alla figlia tutta la fame con un pranzo luculliano, la madre le raccontò la storia del giovane, pregandola di non fargli del male. Essendo sazia, Bora trattò Beniamino amichevolmente e gli disse che, girando il mondo come lei faceva, aveva avuto modo di vedere la corona che cercava sopra il letto della Fata Alcina, assieme a uno scialle e a una mela d'oro, sottratte a due Regine che erano prigioniere in un pozzo per un incantesimo. Gli spiegò anche dove era il palazzo della Fata Alcina e il pozzo delle due Regine e consegnò a Beniamino una bottiglia.
« Con questa potrai addormentare il guardiano ed entrare, ma troverai il giardiniere. »
« E con lui come faccio? »
« Non preoccuparti perché è mio padre, basta che tu gli presenti una lettera di raccomandazione firmata da me e da mia madre. » 
Beniamino si mise incammino ed eseguì le istruzioni ricevute. 
Il giardiniere lo avvisò che doveva superare ancora due mori, che avevano il compito di uccidere chiunque si avvicinasse, salvo il giardiniere. Servendosi di un mazzo di fiori che gli coprivano la faccia, Beniamino riuscì ad ingannare i due mori e in tal modo entrò nella stanza della Fata che stava dormendo. Prese la corona, lo scialle di stelle e la mela, ma restò incantato dalla bellezza della Fata. Stava per baciarla quando la mela d'oro si mise a suonare, così che fu costretto a scappare di corsa. Aveva corso proprio un bel rischio: chi baciava la Fata Alcina si trasformava immediatamente in una statua di marmo. Dopo aver ringraziato il giardiniere, Beniamino imboccò la strada del ritorno e dopo ore e ore di cammino si imbatté in un pozzo asciutto, ma così profondo che non riusciva a vederne la fine. 
Vicino al pozzo girava un' oca con delle ali così grandi che potevano reggere più di una persona. Sulle ali dell' oca Beniamino discese nel pozzo dove c'erano le due Regine. Riconsegnò loro lo scialle di stelle e la mela d' oro e così le liberò dalla prigione e dall'incantesimo. Sempre sulle ali dell' oca Beniamino con le due Regine tornò dal padre.
Nel rivedere la corona, il Re fece salti di gioia, dopo di che ordinò al figlio di inginocchiarsi. Gli pose la corona sul capo e gli disse: «E' tua e te la sei meritata».