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Arlecchino, pittore sfortunato A. Cilibrizzi Chiancone


- Che cosa c'è Arlecchino, stai male? - domanda un giorno Brighella all'amico, vedendolo triste e sconsolato per le strade di Venezia. - Lasciami stare Brighella, fammi questo favore. - Ho capito, ti hanno cacciato via di nuovo. Ma non piangere: ho da proporti un affare. Ascolta, io ho una padrona vecchia, brutta come l'inferno, ma molto ricca. La poveretta si crede una gran bellezza e vuole un marito. Le donne sono tutte così. - E io cosa dovrei fare? - domanda Arlecchino - non voglio certo sposarla: sono fidanzato con Colombina! - No, non dovrai sposarla - gli risponde Brighella - dovrai soltanto fingerti pittore. - Pittore? - Si, pittore. La mia padrona vuole farsi fare un ritratto; tu, tra una pennellata e l'altra, le dirai parole tenere e complimenti così, al momento del pagamento del quadro, le chiederai una cifra favolosa! - Ho capito, ho capito. È un'idea che mi piace molto! risponde divertito Arlecchino. Ma ecco come andarono i fatti per il nostro sfortunato pittore. Mentre Arlecchino, travestito di tutto punto, finge di fare il ritratto alla vecchia signora, bussa alla porta la signora Clarice, ultima padrona di Arlecchino, che viene a trovare l'amica insieme al cagnolino Frufù. Arlecchino, a quella vista, impallidisce per lo spavento. Per Frufrù infatti, grazie al suo infallibile fiuto, riconoscerlo è questione di un attimo, e gli salta in grembo con aria festosa. Arlecchino, nel tirarsi indietro inciampa e, cadendo, perde il travestimento da pittore, tra lo stupore e lo sdegno generali. Svelato l'imbroglio, al povero Arlecchino non resta che fuggire; per l'ennesima volta cacciato in malo modo, si ritrova ancora, triste, sconsolato e squattrinato, ad aggirarsi per le strade di Venezia.