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IL PERICOLO E' IN AGGUATO (CAPITOLO TERZO)


Le complicazioni cominciarono il secondo giorno di vita del pulcino. Zorba dovette intervenire drasticamente per evitare che l'amico di famiglia lo scoprisse. Appena lo sentì aprire la porta, rovesciò un vaso da fiori vuoto sul piccolo e ci si sedette sopra. Per fortuna l'umano non uscì sul balcone, e dalla cucina non poteva sentire le strida di protesta.

L'amico, come sempre, pulì la cassetta cambiò la lettiera, aprì una scatoletta di cibo e, prima di andarsene, si affacciò alla porta del balcone.

«Spero che tu non sia malato, Zorba. È la prima volta che non arrivi di corsa appena ti apro il barattolo. Che ci fai seduto su quel vaso? Chiunque direbbe che stai nascondendo qualcosa. Be', a domani, pazzo di un gatto».

E se gli fosse venuto in mente di guardare sotto il vaso? Solo al pensiero sentì che se la faceva sotto e dovette correre alla cassetta. Lì, con la coda ben ritta, provò un gran sollievo e pensò alle parole dell'umano.
"Pazzo di un gatto". Lo aveva chiamato così. "Pazzo di un gatto". Forse aveva ragione perché la cosa più pratica sarebbe stata lasciargli vedere il piccolo. L'amico allora avrebbe pensato che aveva intenzione di mangiarlo, e se lo sarebbe portato via per prendersene cura finché non fosse cresciuto. Ma lui lo aveva nascosto sotto un vaso. Era pazzo?

No. Niente affatto. Zorba seguiva rigorosamente il codice d'onore dei gatti del porto. Aveva promesso all'agonizzante gabbiana che avrebbe insegnato a volare al pulcino, e lo avrebbe fatto. Non sapeva come, ma lo avrebbe fatto.
Zorba stava ricoprendo con cura i suoi escrementi quando le strida allarmate del piccolo lo richiamarono sul balcone. Quello che vide gli fece gelare il sangue nelle vene.
I due gatti poco di buono erano sdraiati davanti al pulcino, muovevano eccitati le code, e uno di loro lo teneva fermo con le grinfie sopra la coda. Per fortuna gli voltavano le spalle e non lo videro arrivare. Zorba tese tutti i muscoli del corpo.

«Chi l'avrebbe mai detto, amico, che avremmo trovato una colazione così buona. È piccolo, ma ha un'aria saporita» miagolò uno.

«Mamma! Aiuto!» strideva il pulcino.

«La cosa che più mi piace negli uccelli sono le ali. Questo le ha piccole, ma le cosce sembrano polposette» notò l'altro.

Zorba saltò. Mentre era in aria sfoderò tutti e dieci gli artigli delle zampe anteriori e, quando atterrò in mezzo ai due furfanti, sbatté loro le teste per terra.
Cercarono di rialzarsi, ma non ci riuscirono perché entrambi avevano un orecchio trapassato da un artiglio.

«Mamma! Mi volevano mangiare!» stridette il piccolo.

«Mangiarci suo figlio? Nossignora. Niente affatto» miagolò uno con la testa schiacciata per terra.

«Siamo vegetariani, signora. Vegetariani stretti» assicurò l'altro.

«Non sono una 'signora', idioti» miagolò Zorba, tirandoli per le orecchie in modo che potessero vederlo.

Quando lo riconobbero, ai due poco di buono si rizzarono i peli.

«Hai un figlio molto bello, amico. Diventerà un gran gatto» assicurò il primo.

«Questo è poco ma sicuro. È un gattino splendido» affermò l'altro.
«Non è un gatto. È un piccolo di gabbiano, stupidi» spiegò Zorba.

«È quello che dico sempre al mio amico: bisogna avere dei figli gabbiani. Vero, amico?» dichiarò il primo.

Zorba decise di farla finita con quella farsa, ma quei due cretini si sarebbero portati via un ricordo delle sue grinfie. Con un movimentoenergico ritrasse le zampe anteriori e i suoi artigli lacerarono le orecchiedei due vigliacchi. Scapparono di corsa miagolando dal dolore.

«Ho una mamma molto coraggiosa!» stridette il piccolo.

Zorba capì che il balcone non era un posto sicuro, e non poteva farlo entrare nell'appartamento perché il pulcino avrebbe sporcato tutto e sarebbe stato scoperto dall'amico di famiglia. Doveva trovargli un posto sicuro.

«Vieni, andiamo a fare una passeggiata» miagolò Zorba prima di prenderlo delicatamente fra i denti.