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La leggenda del salice



La vivida fantasia del popolo giapponese attribuisce, a molti alberi, un' anima che, proprio come l' anima umana, può manifestarsi nel bene e nel male. 

Il samurai Matsudeira andava superbo di un salice piangente che campeggiava nel suo giardino di Kyoto. Proprio all'anima del vecchio albero attribuiva la serenità che da molti anni coloriva di luce rosea la sua vita familiare. Ma la gioia di Matsudeira si incrinò: la malattia piuttosto grave della moglie e un rovinoso capitombolo che procurò, al figliolo, la rottura di una gamba, indusse l’ uomo a guardarsi attorno con sospetto.
Qualche cosa doveva essere contro di lui. L'anima del salice non era più benevola.
Matsudeira se ne convinse e giudicò prudente sbarazzarsi della creatura vegetale che non voleva più proteggerlo. Confidò la sua decisione all'amico Inabata. Il buon uomo lo sconsigliò di mettere in pratica il disegno che gli parve, addirittura, sacrilego.
- L’ anima del salice è sacra, non puoi offenderla. Vendimi l’ albero, piuttosto.
Matsudeira approvò con entusiasmo la soluzione proposta dall’ amico. Il quale fece trapiantare il salice nel suo giardinetto. Era vedovo, senza figli, gli parve di aver con sé un parente affettuoso, non sentì più la malinconia della solitudine.
Un mattino, uscendo dalla casuccia, vide, appoggiata al tronco del salice, una donna bellissima che portava una tunica verde. Gli sorrise, con dolcezza. Come aveva fatto la leggiadra creatura ad entrare nel giardino la cui porta era chiusa?

L’ uomo non osò far domande. Pregò la sconosciuta di restare un poco con lui, le offerse una tazza di tè. Nacque subito, tra i due, un sentimento di amorevole amicizia e le nozze non tardarono a legare, per la vita, la donna gentile e l’ onesto Inabata. Alla coppia nacque un bimbo cui venne imposto il nome di Janagi (che in giapponese significa salice).
La famigliola visse, per qualche anno, nella perfetta felicità. Ma un fatto imprevedibile scompigliò l'esistenza delle tre creature.
Nel tempio di Sanjusangendo era sprofondato un pilastro. I sacerdoti dichiararono che per riparare questo pilastro era necessario il legno di un vecchio salice. Il daimyo, comandante di Kyoto, mandò un gruppo di costruttori a cercare l’ albero più adatto. La scelta cadde sul salice di Inabata. Questi cercò di difendere l' amico che gli era tanto caro, che dava pregio e gentilezza al suo piccolo giardino, ma non riuscì a convincere gli uomini di daimyo. I quali dichiararono con alterigia che, di lì a poco, sarebbero venuti i loro operai ad abbattere l’ albero, e se ne andarono.
La moglie di Inabata si era nascosta nella casuccia e il marito, con viva sorpresa, si accorse che piangeva.
- Che hai, mia dolce sposa? Ho commesso, nei tuoi riguardi, qualche indelicatezza? Di che mi rimproveri?
La donna parlò tra le lacrime:
- Mio amabile amico, tu non mi hai dato che gioia. Io sono l’ anima del salice, non te lo dissi prima, per non turbarti. Sparirò, quindi, dalla tua vita, dalla vita del nostro piccolo Janagi.
- Impedirò, con ogni mezzo, che l’ albero venga abbattuto – gridò Inabata.- Non voglio, non posso rinunziare a te.
- Stai calmo, mio caro. Il salice cui appartengo viene sacrificato alla dea Kwannon, la Signora della Pietà che si venera nel tempio di Sanjusangendo. La dea ti proteggerà, proteggerà il nostro bimbo.

Giunsero gli operai con le scuri e le corde. La soave donna divenne diafana come un fantasma e quando l’ albero cadde si dissipò, disparve. Il grosso tronco sembrava di ferro. Gli uomini che dovevano trasportarlo al tempio, tutti esperti e fortissimi, non riuscirono neanche a muoverlo.
Vennero chiesti altri aiutanti che giunsero subito e si impegnarono con molto zelo. Il salice era misteriosamente legato alla terra, ogni sforzo per sollevarlo riusciva inutile.
Il piccolo Janagi aveva assistito alla fatica degli uomini. Si avvicinò all’ albero, ne accarezzò il tronco. Disse, con dolcezza: - Perché non ti muovi?
Avvenne un miracolo. La creatura vegetale inesplicabilmente divenne docile alla volontà fanciullesca. E fu proprio Janagi che, toccando con la sua manina, riuscì a trasportarlo al tempio.

(Leggenda giapponese)