- Emblema patriottico per antonomasia
- Simboleggia la forza e la robustezza
- Protegge i nati del 21 marzo (oroscopo celtico degli alberi)
- Luogo sacro di unione tra Zeus ed Era
- Locus ideale per le profezie delle ninfee
- Dimora prediletta di numerosissimi animali
- Dimora di gnomi
Le querce, diffuse nelle regioni temperate, sono note a tutti sia per il loro prezioso legno, sia per il frutto, la ghianda. Esistono circa 450 specie, oltre una dozzina in Italia, di cui due sempreverdi: il leccio e la sughera. Le specie di quercia presenti nel nostro territorio sono quasi esclusivamente roverelle, lecci e cerri. Le troviamo isolate o in associazione ad altre specie arboree nei boschi cedui di latifoglie.
A differenza di queste altre specie, la quercia conserva le foglie fino all'inizio della primavera, come è raccontato nella favola della quercia e del diavolo.
Le querce possono raggiungere notevoli dimensioni (20-40 metri di altezza).
Il modo di dire “una vecchia quercia”, in riferimento alla salute di ferro e alla vigoria di una persona anziana, si deve invece alla longevità di quest’albero, che può vivere fino a duemila anni.
La quercia caduta - Giovanni Pascoli
Dov'era l'ombra, or sé la quercia spande
morta, né più coi turbini tenzona.
La gente dice: Or vedo:era pur grande!
Pendono qua e là dalla corona
i nidietti della primavera.
Dice la gente: Or vedo:era pur buona!
Ognuno loda, ognuno taglia. A sera
ognuno col suo grave fascio va.
Nell'aria, un pianto… d'una capinera
che cerca il nido che non troverà.
I frutti della quercia
I frutti della quercia, le ghiande, cadono e si raccolgono in autunno, generalmente in ottobre-novembre. Sono simili per valore nutritivo e composizione alle castagne e possono essere usate in molti modi: dal pane alla polenta, dai dolci alla minestra, bollite o arrostite. Perché le ghiande siano commestibili, si devono eliminare i tannini di cui sono ricche e che le rendono amare e immangiabili; basta lavare le ghiande, intere o frantumate: processo questo che viene definito lisciviazione del tannino. Prima di effettuare tale operazione, è bene però sbucciare e spellare le ghiande, facendole seccare al sole o arrostire al fuoco esattamente come le castagne. Una volta ottenuto il seme pulito, lo si frantuma e i pezzetti ottenuti si mettono a bagno in un po’ d’acqua che va sostituita più volte. A questo punto le ghiande si possono cuocere per farne polenta, oppure scolare e seccare nel forno per utilizzarle in un secondo momento. Con le ghiande tostate e macinate (ma non lisciviate) in passato si preparava un succedaneo del caffé privo di caffeina. Ben essiccate, si possono conservare tutto l’inverno: è sufficiente chiuderle in vasi di vetro e porli al riparo dell’umidità.
L’uomo preistorico si nutriva abbondantemente di ghiande, come dimostrano alcuni resti archeologici. Per questo motivo la quercia, essendo una pianta presente da sempre ed ovunque, è entrata nell'alimentazione, nella tradizione e nella mitologia. In particolare in California, fino all'arrivo dei bianchi (XVI sec.), sembra che la maggior parte degli indiani trovasse proprio nella ghianda la base della dieta quotidiana.
Corone di ramoscelli di querce venivano date ai cittadini più meritevoli dell’antica Roma, dove questo stupendo albero era simbolo di forza, di virilità e di valore militare. In quanto immagine del vigore e della resistenza fisica e morale, un ramoscello di quercia è posto oggi sulla ruota dentata alla destra dello stemma della Repubblica Italiana.
Curiosità
Dei suoi frutti, le ghiande, sono ghiotti maiali e cinghiali. Le querce hanno un privilegio rispetto agli altri alberi: ospitare gli gnomi. Gli gnomi del bosco abitano sotto grandi e vecchi alberi, spesso querce, sotto le quali si fanno scavare gallerie da conigli e talpe: per il camino ci pensa un picchio! Quando uno gnomo nasce, viene piantata una quercia, partendo da una ghianda e lo gnomo tiene conto degli anni grazie alla quercia piantata il giorno della sua nascita. E ogni anno, al solstizio d’estate, gli gnomi visitano il loro albero e aggiungono un segno. Se il loro albero viene abbattuto, sono sconvolti, e ne piantano subito un altro perché devono sostituire il loro compagno di vita. La quercia di uno gnomo non è mai colpita da fulmini o tempeste o malattie: solo quando lo gnomo muore inizia a morire anche lei. I matrimoni fra gnomi, avvengono, in notti di luna piena, sotto la quercia della sposa. La sua imponenza e longevità, unite ai tanti doni che la quercia offre a uomini e animali, hanno ispirato il simbolo del padre.
La leggenda del diavolo e della quercia
Tanto tempo fa, quando ancora era cosa comune incontrare per strada il Signore Iddio, un giorno il diavolo mogio mogio si recò da lui. Fattosi coraggio, gli rivolse rispettosamente la parola: "Tu, o Signore, sei il padrone di tutto l'universo, mentre io, povero diavolo, non posseggo nullain questo mondo... ...Ti prego pertanto di concedermi la potestà su una minima parte del creato." E Dio, di rimando: "Cosa desidereresti avere?" E il diavolo: "Il potere su boschi e foreste!"
E Dio decretò: "Così avvenga. Il potere su boschi e foreste ti apparterrà quando questi d'inverno saranno senza fogliame. Tornerà a me, invece, nelle altre stagioni, quando gli alberi saranno coperti di foglie." Saputa la notizia dell'avvenuto patto, tutti gli alberi del bosco cominciarono a preoccuparsi, finchè l'inquietudine si trasformò in agitazione.
Il carpino, il tiglio, il platano, il faggio, l'olmo si chiedevano avviliti: "Cosa possiamo fare? A noi le foglie cadono proprio in autunno". Finché al faggio venne l'idea di consultare la quercia, l'albero saggio tra i saggi.
Quando sentì la storia del patto, la quercia rifletté gravemente ed alla fine sentenziò: "Faremo così, cari amici. Io tenterò di trattenere sui rami le foglie secche, finché a voi non saranno spuntate le nuove!
In tal modo il demonio non potrà avere il dominio su nessuno di noi.
Così avvenne e il diavolo rimase beffato. Da allora la savia quercia trattiene il fogliame secco per tutto l'inverno, finché in primavera spuntano le prime foglie verdi.
Argòs la nave che parla (da racconti di Marco Monguzzi)
La capacità oracolare della quercia sacra torna anche in un altro mito, quello degli Argonauti. Giasone ed i suoi compagni intrapresero il viaggio verso il regno di Eete, la reggia “dove il sole si riposa durante la notte”, per riconquistare il mitico vello d’oro. Per compiere il viaggio venne costruita, con l’aiuto della dea Atena, la nave più veloce mai esistita, Argò “la rapida” . La nave aveva il dono della parola perché nella prua era incastrato del legno delle querce sacre di Dodona.
L’impresa degli argonauti aveva come scopo quello di recuperare il vello d‘oro, custodito ad Eete appeso ai rami di una quercia sacra protetta da un drago fiammeggiante. Il viaggio porta gli Argonauti in terre diverse e attraverso svariate avventure. Quando finalmente raggiungono la Colchide, il re Eete subordina la consegna del vello alla condizione che Giasone riesca a domare due tori dagli zoccoli di bronzo, che soffiano fuoco dalle narici e compia ulteriori gesta sovrumane.
La figlia del re Medea, esperta di arti occulte, innamoratasi di Giasone gli offre il suo aiuto, purché lui la porti con sé in Grecia. Giasone supera le diverse prove, con i sortilegi di Medea riesce a far addormentare il terribile drago e fugge con Medea e con il vello, inseguito dai soldati di Eete, dopo aver ucciso il fratello di lei Apsirto.
La navigazione degli Argonauti li porta fino in Adriatico, dove Zeus li punisce dell'omicidio, facendo loro smarrire la rotta. Fu la nave stessa, urlante, ad intimare a Giasone, che tornava in patria dopo l’impresa, di recarsi dalla maga Circe che avrebbe purificato i due peccatori, Giasone e Medea, dall'assassinio di Apsirto.
Erisittone e le ninfe delle querce (da racconti di Marco Monguzzi)
I greci credevano che le querce ospitassero due specie di ninfe le driadi e le amadriadi (da dryàs che significa quercia sacra al dio). Le driadi, spesso raffigurate anche come cicale (le cicale erano chiamate dryokòitai cioè “quelle che dormono nelle querce”), erano ninfe che abitavano gli alberi ma che, all'occorrenza, potevano anche abbandonarli, per questo era proibito abbattere una quercia senza che prima i sacerdoti avessero provveduto, con rituali appositi, ad allontanare le driadi.
Le amadriadi (dahàma insieme) erano congiunte alla quercia, albero che non lasciavano mai, arrivando a morire con esso. C’è da dire che gli antichi greci reputavano la quercia immortale e quindi anche le ninfe amadriadi con esso. Le amadriadi erano le custodi dell’albero sacro ed ogni qualvolta un albero era in pericolo esse lanciavano i loro lamenti minacciosi forieri di sventure per chiunque osasse abbattere un albero senza il volere degli dei. Si narra che Erisittone dopo aver invaso con altri compagni il bosco sacro di Dozio consacrato a Demetra, cominciò ad abbattere gli alberi sacri per costruirsi una nuova sala per i banchetti. Demetra assunse le sembianze di Nicippe, sacerdotessa del bosco la quale cercò di dissuadere Erisittone dal suo intento ma l’uomo non se ne curò minimamente continuando l’opera di distruzione ed anzi giunse a minacciare la dea con un’ascia. A quel punto Demetra si mostrò all'uomo in tutto il suo splendore e lo condannò ad una punizione esemplare: avrebbe continuato perennemente a soffrire la fame a prescindere da qualunque cibo avesse mangiato. Il giovane, tornato nella casa dei genitori, cominciò a trangugiare cibo in continuazione senza mai sentirsi sazio, in seguito dopo aver depauperato tutti i suoi beni, fu costretto a chiedere l’elemosina ed a nutrirsi di continuo, persino di rifiuti.
Il culto della quercia tra i celti (da racconti di Marco Monguzzi)
Tra i celti i boschi di quercia erano sacri, in modo particolare i druidi celebravano i loro riti all'interno di querceti sacri. Racconta Plinio: “I Druidi - così si chiamano i maghi di quei paesi – non considerano niente più sacro del vischio e dell’albero su cui esso cresce, purché si tratti di un rovere (Quercus petraea). Già scelgono come sacri i boschi di rovere in quanto tali, e non compiono alcun rito religioso se non hanno fronde di questo albero, tanto che il termine di Druidi può sembrare di derivazione greca. In realtà essi ritengono tutto ciò che nasce sulle piante di rovere come inviato dal cielo, un segno che l’albero è stato scelto dalla divinità stessa. Peraltro il vischio di rovere è molto raro a trovarsi e quando viene scoperto lo si raccoglie con grande devozione: innanzitutto al sesto giorno della luna (che segna per loro l’inizio del mese e dell’anno e del secolo, ogni trenta anni) e questo perché in tal giorno la luna ha già abbastanza forza e non è a mezzo. Il nome che hanno dato al vischio significa “che guarisce tutto”. Dopo aver apprestato secondo il rituale il sacrificio e il banchetto ai piedi dell’albero, fanno avvicinare due tori bianchi a cui per la prima volta sono state legate le corna. Il sacerdote, vestito di bianco, sale sull'albero, taglia il vischio con un falcetto d’oro e lo raccoglie in un panno bianco. Poi immolano le vittime, pregando per il dio perché renda il suo dono (il vischio) propizio a coloro ai quali lo ha destinato. Ritengono che il vischio, preso in pozione, dia la capacità di riprodursi a qualunque animale sterile, e che sia un rimedio contro tutti i veleni.”
Anche il termine “druido” ha un legame con la quercia infatti esso deriva dalle due radici dru-vid che contengono il significato di “forza” e di “saggezza”, e sono rispettivamente rappresentate dalla quercia e dal vischio.