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Le sorelle invidiose - Ungheria



C'era una volta un re che aveva tre figlie, le quali si chiamavano: Superbia, Grazia e Cortesia.

Il re le amava tutte e tre, ma Cortesia, la più piccola, era la sua preferita, perché era quella che sapeva compiacerlo meglio delle altre. A Cortesia andavano a far visita molti bravi principini, mentre dalle altre due non ci andava neppure il diavolo. Perciò erano molto invidiose di lei e avevano stabilito che se ne sarebbero sbarazzate in qualche modo.

Una mattina chiesero al loro padre di poter andare nei campi e di lì entrarono nel bosco. Cortesia fu molto contenta di poter fare una gita in quei bei luoghi; le altre due, invece, erano contente perché avevano intrappolato la vittima.

La rugiada si era asciugata; le due sorelle più grandi passeggiavano tenendosi a braccetto, mentre la più piccola correva dietro alle farfalle e raccoglieva le fragole, pensando che ne avrebbe portate un po' a casa per suo padre. E così, mentre passava il tempo correndo, canterellando e ascoltando i bei canti degli uccelli, a un certo momento si accorse di essere capitata dentro ad una fitta boscaglia. Sbigottita, confusa, non sapeva che fare, che cosa pensare, quand'ecco che le sbucano accanto le due sorelle e le dicono con grande astio: «Infame! Hai sempre fatto di tutto perché nostro padre volesse bene solo a te, per rovinarci la vita! Preparati, perché per te è la fine!».

Cortesia giunse le mani in atto di supplica e le pregò di non farle del male; ma quelle le tagliarono entrambe le mani e non la ammazzarono solo perché promise che non avrebbe più fatto ritorno a casa. La svestirono dei suoi begli abiti preziosi, le gettarono addosso uno straccio, la portarono nel punto più alto della boscaglia e di lì le mostrarono una contrada sconosciuta, dove poteva andare a vivere di elemosina.

Il sangue scorreva dalle braccia di Cortesia e il suo cuore soffriva in maniera indicibile; tuttavia non pronunciò neppure una parola di maledizione contro le sue sorelle. Andò nel luogo che le avevano indicato e arrivò a una bella spianata. Là c'era un bellissimo giardino, pieno di alberi da frutta d'o­gni genere, quelli che maturano presto e quelli che maturano tardi. Rese grazie a Dio perché la aveva condotta fin lì; entrò nel giardino e vi si inoltrò, in un luogo appartato. Non aveva le mani per cogliere i frutti, poteva mangiare solo quelli che stavano sui rami più bassi.

Trascorse così un'intera estate, senza che nessuno venisse a sapere che si trovava in quel luogo. Ma verso l'autunno, quando erano esauriti tutti gli altri frutti, c'era rimasta solo l'uva, di cui poter vivere; e dai raspi avanzati il giardiniere si rese conto che lì ci doveva essere qualcuno: si appostò e la colse sul fatto.

Il giardino apparteneva a un principe che molto volentieri vi trascorreva il tempo. Il giardiniere non volle riferirgli il fatto, perché aveva pietà della povera fanciulla senza mani e temeva che il suo signore la avrebbe punita con qualche grave castigo; perciò la volle mandar via. Ma il caso volle che ar­rivasse lì il principe.

«Chi è costei?» domandò.

«Mio signore, Altezza, io non la conosco meglio di te; l'ho trovata qui nel giardino e avrei voluto mandarla via, perché non facesse dei danni.»

«Non scaccerai un'infelice dal mio feudo!» ordinò il principe. «Chi sei tu, infelice fanciulla?»

«Hai colto nel segno, signore» rispose Cortesia, «perché è vero che sono infelice, ma non faccio nulla di male. Sono una mendicante, ma sono di sangue reale; sono capitata lontano da mio padre, perché mi amava moltissimo; ho perso le mani, perché sono stata per lui una buona figliola! Questa è la mia situazione!»

«Anche se indossi una veste sudicia e sbrindellata» disse il principe «si nota lo stesso che non puoi essere cattiva. Il tuo aspetto nobile e il tuo linguaggio dignitoso dimostrano che non hai un'origine volgare! Vieni con me: troverai presso di me tutto quello che hai perduto!»

«Signore, come posso presentarmi allo sguardo altrui in questa veste brutta e sporca? Mandami qui qualcosa da mettermi addosso e poi andrò dove tu comandi!»

«Va bene!» replicò il principe. «Aspetta qui in questo luogo e io mi occuperò di te!»

Se ne andò e le mandò una ragazza con dell'acqua profumata per lavarsi, un bell'abito prezioso, una carrozza. Cortesia si lavò per bene, si vestì come si deve, si mise a sedere nella carrozza e, quando si recò davanti al principe, era co­me se non fosse stata quella che era. Nonostante tutto quello che aveva sofferto, aveva l'aspetto di una Lucrezia e il principe se ne innamorò a tal punto, che subito decise di sposarsi con lei. Si sposarono, celebrarono una festa di nozze splendida e gioiosa e trascorsero insieme dei giorni felici.

Le due sorelle di Cortesia erano tornate a casa dal bosco e il loro padre aveva domandato: «Dov'è Cortesia?»

«Non è qui?» avevano risposto. «Noi credevamo che fosse venuta a casa prima di noi. Era corsa dietro alle farfalle finché si era allontanata da noi. La abbiamo cercata a lungo, l'abbiamo chiamata ad alta voce e, siccome non l'abbiamo trovata, siamo ritornate a casa per non farci cogliere dal buio laggiù!»

Il re cercò Cortesia per parecchi giorni, ma non la trovò. Si adirò, si disperò e scacciò le due sorelle maggiori perché non avevano avuto cura della più piccola. Anche loro andarono per il mondo; si avviarono in un'altra direzione, ma il caso volle che anche loro arrivassero nel paese in cui era regina Cortesia. E presero alloggio, senza farsi riconoscere, in una cittadina.

Cortesia era rimasta incinta. Intanto scoppiò la guerra e suo marito dovette andare a combattere. La guerra durò a lungo e Cortesia diede alla luce due gemelli, due bei maschietti: uno aveva sulla fronte il benedetto segno del sole, l'altro il benedetto segno della luna.

Con grande gioia, il segretario della regina lo scrisse al re e mandò la lettera all'accampamento per mezzo di un messaggero. Il messaggero dovette attraversare quella cittadina in cui abitavano le due sorelle invidiose di Cortesia; vi giunse quando era buio e non trovò illuminato da nessun'altra parte, se non alla loro finestra. Si diresse dunque da quella parte, chiese alloggio e disse perché si trovava in viaggio.

Quelle bestie invidiose furono ben liete di dargli alloggio! E, quando ormai egli dormiva come un sasso, gli tirarono subito fuori la lettera, la lesserò, e con grande gioia ne scrissero un'altra al posto di quella. Vi scrissero che la regina aveva partorito due mostri informi, che assomigliavano più a due cagnolini che non a due bambini.

Al mattino diedero da mangiare e da bere al messaggero e lo pregarono di fermarsi da loro anche nel viaggio di ritorno, perché lo avrebbero ospitato nel migliore dei modi. Il messaggero accettò molto volentieri il gentile invito e promise che sarebbe venuto da loro e da nessun'altra parte.

Il messaggero arrivò dal re e gli consegnò la lettera. Come si rattristò, quando la lesse! Egli scrisse tuttavia questa risposta: «Mia moglie non ne ha alcuna colpa; se è capitato così, che cosa ci posso fare? Che non le venga arrecato il minimo dispiacere!».

Anche durante il ritorno il messaggero si fermò a dormire nella cittadina da quei due serpenti velenosi. Stavolta gli sottrassero la lettera del re e la sostituirono con quest'altra: «Non ho bisogno né dei figli né della madre. Prima che io arrivi a casa, ripulite la mia corte da quelle brutte bestie, che non ne rimanga nemmeno l'ombra!»

Quando a casa lesserò ciò, tutti compiansero la povera regina; non riuscivano a capire perché il re fosse così adirato. Non c'era altro da fare, che mettere i due meravigliosi maschietti in una bisaccia, appenderla al collo di Cortesia e mandarla via.

Per alcuni giorni la povera innocente Cortesia camminò senza mangiar nulla, finché arrivò a un bel bosco; si inoltrò in una valle e camminò finché cominciò a scorgere, in fondo ad essa, i pini montani.

Là si presentò ai suoi occhi una fonte d'acqua pura; siccome aveva una sete terribile, si protese per bere, ma, a causa della fretta, mise un piede in fallo e vi cadde dentro. Per uscirne fuori, si diede da fare aiutandosi con i suoi moncherini; ma quale fu la sua gioia allorché vide che l'acqua della fonte le aveva fatto completamente ricrescere le mani! Per la gran gioia, si mise a piangere; nonostante l'incertezza della situazione in cui si trovava, esule, senza marito, senza padre, priva di qualunque aiuto, con due bimbi affamati, in una boscaglia selvaggia, nonostante ciò non riusciva a esser triste, poiché aveva avuto la grande fortuna di recuperare la sua integrità.

Si fermò in quel luogo, senza riuscire a decidersi sul sentiero da prendere e guardando in tutte le direzioni. Ma ecco che all'improvviso apparve dinanzi a lei un vecchio, giunto lì proprio in quel momento.

«Chi sei?» le domandò il vecchio.

«Chi sono?» rispose lei con un gran sospiro. «Io sono una felice infelice!»

E raccontò al vecchio tutte le sue vicende; gli raccontò che proprio in quel momento aveva recuperato nella fonte l'integrità delle mani.

«Povera figlia mia!» disse il vecchio disperandosi. «Adesso siamo in due a essere infelici! Ma a me basta che tu sia viva e che io ti abbia trovata. Sta' a sentire! Tuo marito ha fatto la guerra proprio contro di me, mi ha scacciato dal mio paese e per sfuggirgli sono capitato qui. Ma non lontano di qui ho costruito una capanna, con un mio servo fedele, e vi abito assieme a lui!»

Il vecchio, per provare la prodigiosa qualità guaritrice di quella fonte, vi immerse un dito mozzo che gli era stato ferito in guerra; quando lo tirò fuori, era ridiventato intero, senza il minimo difetto.

Quando la guerra finì, il marito di Cortesia tornò a casa e chiese notizie di sua moglie. Gli dissero tutto quello che era accaduto. Il suo dolore fu grandissimo. Prese con sé molte persone e si mise in viaggio alla ricerca di lei. Alla fine la trovarono, assieme a suo padre e ai due meravigliosi bambini.

Dall'indagine si venne a sapere dove il messaggero aveva preso alloggio e come le lettere erano state fatte sparire. Superbia e Grazia furono processate e condannate a morte. Ma Cortesia, senza tener conto di tutta la loro malvagità, fu così misericordiosa con loro, che ottenne da suo marito di farle graziare; e riuscì a impetrare la grazia anche da suo padre.

Di questa storia non c'è più niente da sapere, perché ve l'ho raccontata fino in fondo e non ne ho tralasciata la minima parte. Coloro dei quali vi ho parlato possano essere domani i vostri ospiti, tutti quanti, nessuno escluso!