Italo Calvino nasce a Cuba, nei pressi dell´Avana, nel 1923: il padre è un agronomo e la madre una ricercatrice di botanica che avevano soggiornato in America Centrale per ragioni di lavoro e sarebbero tornati in Italia subito dopo la nascita del figlio primogenito Italo. L´infanzia e l´adolescenza del futuro scrittore hanno come teatro la città di San Remo, in provincia di Imperia, tra la stazione sperimentale di floricultura diretta dal padre e la casa di campagna di famiglia, in cui si sperimentavano coltivazioni di frutti esotici. I genitori gli impartiscono un´educazione di stampo razionalistico e laico, e il giovane Italo frequenta anche delle scuole valdesi.
Dopo la maturità si iscrive alla facoltà di agraria dell´università di Torino, dove insegna anche il padre, ma gli manca un vero interesse per la materia e si arena sui primi esami. Dopo l´armistizio dell´8 settembre 1943 la Liguria si trova sotto l´occupazione tedesca e il giovane si dà alla macchia per non essere arruolato nell'esercito della Repubblica di Salò. Partecipa alla lotta partigiana sulle Alpi Marittime, e i genitori vengono anche arrestati per un breve periodo dai tedeschi.
Durante la resistenza aderisce al Partito Comunista e dopo la guerra svolge attività politica e comincia a scrivere racconti, legandosi agli ambienti letterari milanesi (Vittorini) e torinesi (la casa editrice Einaudi). Intanto era passato alla Facoltà di Lettere di Torino, dove si sarebbe laureato con una tesi sullo scrittore di lingua inglese Joseph Conrad
Pur non sentendosi la stoffa del politico né del giornalista, si appassiona a documentare le lotte sindacali e le condizioni del lavoro in fabbrica e resta nel partito nonostante gli strappi e la rottura di molti amici (Vittorini). Siccome i critici gli stroncavano i suoi tentativi di romanzi e racconti di stampo neorealista, allora si dà alla sua vocazione letteraria più confacente, quella fiabesca, e Vittorini pubblica allora nella collana "Gettoni" il "Visconte dimezzato". Questo romanzo gli vale riconoscimenti letterari ufficiali e viene bene accolto, pur tra contrasti e polemiche legate al presunto impegno politico e legame con la realtà sociale ed economica della letteratura, anche all´interno del partito comunista. Negli anni Cinquanta egli occupava ormai un suo posto e aveva una sua cifra stilistica nella letteratura italiana, e intanto si trasferiva sempre più spesso a Roma, che diventava il centro della produzione letteraria. In quegli anni porta a termine un lavoro più filologico ed erudito che letterario, la raccolta di "Fiabe italiane" della tradizione popolare, prese da varie regioni e tradotte dai dialetti.
Italo Calvino curò questa raccolta di fiabe, provenienti dalle diverse tradizioni regionali d’Italia, nella metà degli anni Cinquanta. Un paziente e rigoroso lavoro di collezione e classificazione, che tenne impegnato lo scrittore per ben due anni. Il suo interesse per la fiaba è infatti alieno da qualsiasi atteggiamento nostalgico
Lo scrittore, si pone come obiettivo quello di far affiorare dal caos eterogeneo di racconti, episodi, personaggi, temi e motivi, un libro con una sua coerenza, con una sua ragione di esistere che vada al di là della pura e semplice nota di colore folcloristico; e, nello stesso tempo, consapevole della «infinita varietà ed infinita ripetizione» delle storie riportate, il rispetto e la conservazione delle differenze, quelle variazioni di tono che fanno di un semplice canovaccio narrativo l’espressione di una certa realtà storica e sociale, «il “diverso” che proviene dal modo di raccontare del luogo e dall'accento personale del narratore orale».
Dentro queste pagine c'è tutta l'esperienza nazionale, la vita, la storia popolare di ogni regione, gli intrecci culturali e le differenze di visione, i raccordi d'oltre confine con le Fiabe dei fratelli Grimm o di Perrault, la vicinanza con quel Seicentesco Cunto de li cunti di Giambattista Basile che tante fiabe ha rese celebri nel mondo.
Queste fiabe rappresentano la voce, forse impersonale, ma proprio per questo tanto più autentica, di un’esistenza primaria, immediata, totale nei suoi entusiasmi così come nelle sue paure, nei suoi illogici innamoramenti così come negli odi più profondi ed inspiegabili; un’esistenza, a ben guardare, assai simile a quella di ciascuno di noi negli anni, più o meno lontani, più o meno rimpianti, della nostra infanzia.
Ecco cosa scriveva Calvino per raccontare il suo lavoro :
Per due anni ho vissuto in mezzo ai boschi e palazzi incantati, col problema di come meglio vedere in viso la bella sconosciuta che si corica ogni notte al fianco del cavaliere, o con l'incertezza se usare il mantello che rende invisibile o la zampina di formica, la penna d'aquila e l'unghia di leone che servono a trasformarsi in animali. E per questi due anni a poco a poco il mondo intorno a me veniva atteggiandosi a quel clima, a quella logica, ogni fatto si prestava a essere interpretato e risolto in termini di metamorfosi e incantesimo: e le vite individuali, sottratte al solito discreto chiaroscuro degli stati d'animo, si vedevano rapite in amori fatati, o sconvolte da misteriose magie, sparizioni istantanee, trasformazioni mostruose, poste di fronte a scelte elementari di giusto o ingiusto, messe alla prova da percorsi irti d'ostacoli, verso felicità prigioniere d'un assedio di draghi; e così nelle vite dei popoli, che ormai parevano fissate in un calco statico e predeterminato, tutto ritornava possibile: abissi irti di serpenti s'aprivano come ruscelli di latte, re stimati giusti si rivelavano crudi persecutori dei propri figli, regni incantati e muti si svegliavano a un tratto con gran brusio e sgranchire di braccia e gambe. Ogni poco mi pareva che dalla scatola magica che avevo aperto, la perduta logica che governa il mondo delle fiabe si fosse scatenata, ritornando a dominare sulla terra. Ora che il libro è finito, posso dire che questa non è stata un'allucinazione, una sorta di malattia professionale. È stata piuttosto una conferma di qualcosa che già sapevo in partenza, quel qualcosa cui prima accennavo, quell'unica convinzione mia che mi spingeva al viaggio tra le fiabe; ed è che io credo questo: le fiabe sono vere.