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Intermezzo pericoloso (capitolo 5)


Quando Falco venne condotto nel suo appartamento, nel palazzo della Baldoria, alcune giovani dame lo seguirono, pregandolo di eseguire ancora qualche pezzo di musica col suo delizioso flauto. Il giovinetto, lusingato dalle loro lodi e dai loro incitamenti, acconsentì. Egli sedette nel centro di un piccolo salotto circolare fantasticamente illuminato, e le giovani, in graziosi gruppi e in gentili atteggiamenti, si misero a lui d'intorno. Esse l'applaudivano con frenesia; e quando ebbe finito, la più vivace e carina, batté le mani e quasi tosto comparve una tavola carica di dolci, vini, liquori.

— Ora berrai con noi, prima di coricarti, bello e gentil paggio, — disse la damina. — Tutte le mie compagne sono qui pronte a servirti. —

Riempì un calice offrendolo a Falco, che lo bevette avidamente e tosto sentì raddoppiare il calore del sangue e battere forte il cuore. Falco dimenticava in quel momento Topolina, le sue raccomandazioni, la sua prudenza.
— Siedi qui vicino a me, — disse alla giovane. — Tu sei la più bella che io abbia veduta. Ed anche le tue compagne ti valgono.

Tutte si misero attorno alla tavola; la favorita stette al suo fianco.

— Non hai proprio conosciuto altre più belle di me? — osservò la giovane. — Non hai desiderato mai alcun'altra fanciulla? —

Falco arrossì, pensò a Tea ed eccitato dal liquore bevuto:

— Sì... ne ho desiderata un'altra, — rispose — che non ha voluto saper di me, perché ero povero. Per questo mi sono messo in viaggio, e vado alla conquista della ricchezza, del potere.

— Per offrir tutto alla bella sdegnosa?
— No: per vendicarmi di lei, castigando la sua superbia.
— Qui puoi avere l'oro che vorrai, il potere, la vendetta, senza cercar altrove.
— No... no, vi è una Fata più possente di tutte, che mi darà tutto ciò.
— Quale Fata è più possente della nostra Sovrana? — esclamarono le belle fanciulle con tono indignato.

Falco invece di rispondere, tracannò un altro bicchiere di liquore.

— Beviamo, — disse — beviamo: non pensiamo che a noi.
— Rispondi prima alla nostra domanda.
— Non posso, né voglio.
— Diventi dunque nostro nemico?
— Io sono sempre amico delle ragazze belle come voi, purché non siano curiose.
— Tu non c'illudi, tu rinneghi il nostro potere; ma in breve conoscerai le conseguenze della tua temerità. —

Così disse la favorita seduta al suo fianco, battendo le mani. La tavola disparve, la sala si fece oscura e Falco sentì una voce che diceva:

— Bisogna torturarlo prima di sopprimerlo. —

Allora comprese l'imprudenza commessa, ebbe paura, mormorò una preghiera, invocando la Fata buona, che l'aveva salvato l'altra volta con Topolina. E ad un tratto sentì strisciare presso l'orecchio un corpo molle ed una vocina sussurrargli:

— Non aver timore, sono Zor, alzati pian piano ed esci dalla porta che hai alla tua destra. —

Falco obbedì, mentre le dame si consultavano fra loro se dovevano recarsi ad avvertire la Sovrana. Il giovinetto, appena passato nella stanza vicina, sentì chiudere l'uscio, mentre vide spalancata un'altra porta, che metteva in una galleria di cui non si vedeva la fine, e che un turbinio di lucciole illuminava.

— Cambia i tuoi abiti con questi, — disse Zor, che dalla spalla del giovinetto era saltata a terra, e gli indicava un vestito nuovo e modesto — poi seguimi e non fiatare.
— Dove andiamo?
— Assai lontano dal regno della Baldoria.
— E Topolina?
— Non ha bisogno di noi, saprà raggiungerci in breve.
— Ma se corresse pericolo?
— Saprà sottrarsene; ella non mi perdonerebbe, se non pensassi a salvare te per il primo: orsù seguimi.
— Ti seguo: povera Topolina! Ah, se le avessi dato retta!
— Tu parli sempre così, quando comprendi di trovarti in pericolo; ma riacquisti subito la tua baldanza, disconosci la tua sorellina, allorché essa cerca di metterti sulla buona via.
— È vero e me ne pento. —

Zor fece finta di non sentire e seguitò la sua strada. Falco le teneva a stento dietro. Dopo aver camminato quasi mezz'ora, il giovinetto vide una larga apertura che metteva sulla riva del mare.

— Come faremo adesso? — esclamò. — Io non so nuotare e non vedo alcuna barca.
— Ecco chi ci porterà, — rispose Zor mostrando un grossissimo pesce dalle squame rosse, che si era avvicinato, offrendo loro il dorso.

Appena Falco vi si fu seduto colla marmotta, il pesce si allontanò dalla riva ed in pochi minuti si trovarono al largo.

— Dove andiamo? — chiese Falco che non era ancora tranquillo sulla propria sorte.
— Dove il pesce ci condurrà, — rispose Zor. — Egli sa che dobbiamo andar lontani dal regno della Baldoria, per non essere inseguiti e ripresi. —

In quel momento provarono una violenta scossa, tanto violenta, che mancò poco che Falco non cadesse in mare, se non si fosse aggrappato alle squame del pesce.

— Che è successo? — chiese tremante.
— È successo che abbiamo urtato contro un cadavere, guarda là, — rispose Zor.

Infatti, dietro a loro era una massa bruna a fior d'acqua cullata lentamente dalle onde. E Falco potè scorgere il viso del povero affogato, che era quello d'un giovanetto, presso a poco della sua età.

— Come sarà caduto in mare? — chiese.

Fu il pesce che rispose:

— Vi è stato barbaramente gettato dai sicari della regina Morgiana, e non è il solo: purtroppo, quasi ogni giorno, le acque trascinano uno di questi cadaveri. E sono la più parte fanciulli che hanno abbandonato le loro case, i loro parenti, per darsi in braccio alla Baldoria, sperando di trovarvi la felicità e vi trovano invece la morte. —

Falco sentì un brivido percorrergli le vene. Anch'egli avrebbe fatto quella fine senza il soccorso della marmotta, e senza la preghiera che egli aveva rivolta alla buona Fata. Il pesce guizzava sempre più rapidamente, frangendo la acqua che schiumava al suo passaggio e il regno della Baldoria si allontanava sempre, finché scomparve dai suoi occhi, e Falco non vide sopra di sé che la luna brillante nel firmamento, e sotto, l'acqua scintillante di riverberi argentei, luminosi. Albeggiava, allorché il fanciullo si trovò gettato sopra un ammasso di scogli insieme alla marmotta. Egli era così stanco da quel viaggio rapidissimo sulla groppa del pesce, che non ebbe la forza di sollevarsi; e quasi fosse sopra il più soffice letto, si addormentò profondamente. Un raggio di sole lo investì negli occhi e lo risvegliò. Allora ebbe la conoscenza di ciò che gli era accaduto, e sollevatosi vivamente:

— Dove siamo? — chiese ad alta voce.
— Sopra alcuni scogli, come vedi,— rispose la marmotta, che non l'aveva abbandonato. — E mentre tu dormivi, ho procurato di trovar da mangiare. —

E mostrò alcuni frutti di mare che Falco respinse, dicendo:

— Non ho fame, penso a Topolina. Perché l'abbiamo abbandonata?
— Non dicesti tu più volte che senza di lei avresti compiuto meglio il tuo viaggio? Che non avevi bisogno del suo aiuto?
— L'ho detto, non lo nego; ma ora che penso come ella possa trovarsi in pericolo, non ho altro desiderio che quello di averla vicina. Perché tu, che mostravi di proteggerla, l'hai abbandonata?
— Per salvar te; Topolina sarebbe morta di dolore, se ti fosse accaduta sventura.
— Povera Topolina, quante volte ho disconosciuto la sua bontà, il suo cuore. Non puoi tu tornare a lei, condurla qui?
— No, non lo posso.
— Ma sa essa dove ci troviamo?
— No; ma qualcuno l'avvertirà, perché i buoni geni la proteggono.
— E se non l'avvertissero?
— Adempirò la promessa che le ho fatta di non abbandonarti.
— Ma è lei, lei sola che voglio.
— Hai dunque già dimenticato la bella Tea per la quale ponesti in rischio la tua vita e quella di Topolina? Ella ti fece commettere anche ieri l'imprudenza che ti ha tratto qui. Hai già rinunziato alla conquista dei sette capelli d'oro della fata Gusmara? Come riderebbe Tea se ti vedesse già così scoraggiato, vinto! —

Falco non sentiva l'ironia delle parole della marmotta ed abbassò il capo confuso, né parlò più. Le ore trascorsero lente, e Falco cominciò a sentire gli stimoli della fame; quindi non respinse più i saporiti datteri di mare che la marmotta gli aveva apprestati. Quando ebbe saziato l'appetito, disse bruscamente:

— Quanto tempo dovremo ancora rimanere su questi scogli?
— Non vuoi aspettare Topolina?
— Essa non verrà più, lo sento: mi hai ingannato. —

Ed assalito da un'improvvisa emozione, si mise a piangere. La marmottina non si commosse.

— Se non vuoi attenderla, — disse — se non mi credi, c'imbarcheremo nel primo naviglio che passerà.
— No, no, aspettiamo ancora, sebbene non speri più. —

La notte era nera, ma Falco non dormiva. Egli pensava alla sorellina che forse aveva espiato colla vita la imprudenza di lui. Perché egli si figurava che le giovani dame della Regina non avrebbero mancato di avvertire la loro Sovrana di quanto egli si lasciò sfuggire sulla sua fuga, e la collera della Regina si riverserebbe su Topolina che forse verrebbe sottoposta alla tortura, come volevano fare a lui, gettandone poi il cadaverino in mare. Una viva angoscia gli stringeva il cuore. Non sperava più nell'aiuto della fata Gusmara, sentendo di non meritarlo, e si diceva che il potere di Zor era ben limitato, se non sapeva che fosse avvenuto di Topolina. Ad un tratto, Falco scòrse lontan lontano una barchetta che si dirigeva rapidamente verso gli scogli, guidata da quattro rematori. Il cuore gli batté fortemente.

— Zor, Zor! — chiamò.

La marmottina, che pareva addormentata, si riscosse.

— Che cosa c'è?
— Guarda quella barca che si avvicina.
— È vero: non vedi chi c'è dentro?
— No, non distinguo che i rematori.
— Io scorgo invece una figurina sdraiata nel fondo. Se non m'inganno, è lei.
— Chi?
— Topolina. —

Falco gettò un grido di gioia ed alzatosi stese le braccia, gridando il nome della fanciulla. Oh, quale felicità! Pochi minuti dopo, Topolina era nelle sue braccia, chiamandolo pur essa a nome, mentre la barchetta coi rematori scompariva in mezzo ai flutti. Topolina non tardò a sciogliersi dall'amplesso del fratello, chiedendo agitata:

— E Zor, la mia Zor?
— Eccomi, eccomi, — rispose la marmottina, arrampicandosi sulla spalla della fanciulla per ricevere la sua parte di baci e di carezze.
— Zor, mia buona Zor, — disse Topolina — grazie, mille grazie di aver salvato il mio fratellino.
— E tu da chi fosti salvata? — chiese vivamente Falco.

Topolina non volle rivelare il segreto del talismano datole dal cinghiale; si limitò a rispondere:

— Ho invocato con tutta l'anima la buona Fata ed essa mi mandò in aiuto i suoi geni. Raccontami alla tua volta ciò che ti è successo. —

I due fanciulli seduti su uno scoglio, si narrarono a vicenda i fatti avvenuti, e Zor, che aveva ripreso il suo posto in seno a Topolina e non teneva fuori che la testa, prese parte a quelle confidenze. Falco era divenuto un po' triste.

— Il Principino, — disse — non si consolerà mai di averti perduta e ne ha ragione. Se tu sapessi quanto ho sofferto anch'io privo di te! —

Topolina sorrise felice.

— Vedi che l'ho abbandonato per raggiungerti. Belfiore ha vicino una madre che saprà consolarlo e trovargli una principessa migliore di me. Adesso, fai tu conto di continuare il viaggio verso il regno della fata Gusmara?

— Certo; e come abbiamo già superato due regni nemici, così sfuggiremo il pericolo di quelli che dobbiamo ancora attraversare.
— Non sarà così facile, se non saprai moderare le tue passioni, — osservò Zor — e se non darai ascolto ai consigli di tua sorella.
— Sembra proprio che io non sia buono a far nulla da me, — replicò stizzito Falco, che l'osservazione della marmottina aveva punto nel suo amor proprio.

Zor rimase silenziosa, perché Topolina gli aveva posto dolcemente una mano sul capo per farla tacere; ma pensò che il pianto e l'invocazione fatta poco prima da Falco, erano come i giuramenti e le preghiere dei marinai, che vengono dimenticati appena il pericolo è scomparso. Falco tornava spavaldo. Topolina era però così felice di trovarsi a lui vicina, che non ebbe il coraggio di fargli alcun rimprovero. Intanto si faceva giorno, ed un piccolo battello apparve sull'orizzonte, dirigendosi verso loro.

— Quando si sarà avvicinato, — disse la marmotta — farete dei segnali, perché possano vederci e raccoglierci. Ricordatevi che a chiunque sia a bordo, direte che eravate su di una tartana, che si è infranta giorni fa contro questi scogli sui quali foste gettati. E se vi chiedono di chi era la tartana dite di parenti diretti al regno della Ricchezza, che perirono tutti all'infuori di voi. E non parlate di me, che non mi mostrerò.

— Noi reciteremo a puntino la tua lezione, stai sicura, — disse Topolina. — E ti terrò ben nascosta, perché non ti scoprano. —

Il piccolo bastimento si avvicinava sempre più e Topolina, salita sulle spalle del fratello, agitò il suo grembiule, mentre Falco chiamava aiuto. Essi furono veduti ed intesi, perché quasi tosto una lancia si staccò dal bastimento, dirigendosi alla lor volta. Un quarto d'ora dopo, i due fanciulli si trovarono sul ponte ed il capitano e gli uomini dell'equipaggio erano intorno a loro. Topolina e Falco non avevano mai veduto degli esseri umani, d'aspetto più orribile, selvaggio, feroce. Erano alti come giganti, con la faccia color d'oliva, il naso schiacciato, la barba e le sopracciglia folte, ispide, il corpo peloso. Il capitano era il più brutto di tutti. Aveva riso vedendo Topolina e in quel riso aprì una larga bocca dai denti neri, in cui la fanciulla sarebbe entrata tutta intera.

— A costei bisognerà dare il poppatoio, — disse sghignazzando.

I marinai gli fecero eco. Topolina non si scompose.

— No, signore, — rispose con la sua voce chiara e vibrata — io mangio delle buone bistecche e non rifiuto un bicchiere di vino generoso.
— Ah! ah! ah! —

Non cessavano dal ridere: Falco fremeva, ma si contenne.

— Di dove venite? — chiese il capitano.
— Dal mare, come vedete, — rispose Topolina. — Eravamo mio fratello ed io in una tartana di nostri cugini, diretta al regno della Ricchezza.
— Ove andiamo anche noi, — disse il capitano — perché siamo mercanti di dolci e ghiottonerie che ivi mancano.

Topolina recitò la lezione datagli dalla marmotta che le si teneva nascosta in seno. Il capitano credette al racconto della fanciulla; soltanto disse rivolgendosi a Falco:

— Scommetto che i tuoi cugini erano contrabbandieri.

— Non lo so, signore.
— Tu sei prudente; però non puoi ignorare ciò che si recavano a fare nel regno della Ricchezza, conducendo anche voi.
— Forse, — esclamò Topolina — volevano vedere se un po' di quell'oro si attaccava a noi che siamo così poveri.
— Brava la piccina! — disse il capitano — tu parli bene. Dell'oro, come delle pietre preziose ne avrai, perché noi andiamo là apposta per farne un carico in cambio delle nostre mercanzie; e tu e tuo fratello potrete tornarci molto utili.
— In qual modo? — chiese Falco con curiosità.
— Ve l'insegneremo. —

Quella sera stessa ebbero a bordo la prima lezione. Il capitano aveva chiamati a sé coi due fanciulli una parte dell'equipaggio e quando furono seduti in cerchio, disse:

— Domattina entreremo nella baia degli smeraldi, che è il miglior porto del regno della Ricchezza: io con quattro di voi ed i due ragazzi, scenderemo a terra. Falco verrà posto in una delle casse, che dovrà sembrare piena di cioccolata e il cui coperchio si apre con una molla di dentro. Questa cassa verrà portata, con altre, dal più ricco mercante d'oro del regno, che nelle sue cantine tiene casse piene di verghe d'oro e la cui figlia è ghiotta di dolci e di cioccolata. I miei uomini che porteranno la cassa e conoscono già il compito loro, faranno in modo che quella in cui si trova rinchiuso Falco sia posta in cantina: ora tu, ragazzo mio, trovandoti solo nella notte, uscirai dal nascondiglio ed riempirai la cassa di verghe d'oro, poi ti nasconderai in un angolo della cantina e attenderai. —

Falco era livido, tremava.

— E se mi scoprono?
— Non ti scopriranno.
— Ma io non voglio rubare, no, non lo voglio! —

Il volto del capitano si contrasse orribilmente.

— Olà! — gridò. — Che costui sia preso e legato come un salame: riempitegli di terra il naso e la bocca, mettetegli un peso di piombo al collo e gettatelo in mare: nessuno andrà a ripescarlo. —

Due uomini si accingevano ad eseguire l'ordine del capitano, ma Falco, assalito dal terrore, dallo spavento di quella morte, si gettò a' suoi piedi.

— No, no, lasciatemi e perdonatemi: obbedirò. Sì, sì, obbedirò.
— Alla buon'ora! — disse il capitano. — Soltanto ti avverto, che se commetterai qualche imprudenza, cercando di sfuggirci, avrai un castigo assai peggiore di quello che volevo darti.
— Ah, siamo proprio caduti in buone mani! — pensava Falco, mentre rispondeva: — Sarò prudente: non fuggirò. —

E guardava Topolina con angoscia. Essa sorrideva tranquilla, incurante del pericolo che poteva sovrastarle.

— Confiderà nella marmotta, — pensò Falco. — Ma se Zor avesse tanto potere, ci avrebbe condotti al regno della Ricchezza, senza implorare l'aiuto di costoro. —

Il capitano roteava gli occhi feroci, ed aprendo la larga bocca, quasi volesse ingoiare egli stesso i due fanciulli, proseguì:

— In quanto a te, Topolina, verrai con me. Si dice che nel palazzo della Sovrana ci sia il brillante più grosso del mondo. Esso illumina coi suoi raggi il salone del trono e sta sospeso come una lampada nel mezzo del soffitto. Io porterò in capo un cesto che dovrebbe figurare pieno di bomboniere, ma ne terrò altri in mano, da offrire alla Sovrana. In quel cesto vi sarai tu nascosta: troverò il mezzo di penetrare nel salone, e mentre intratterrò coi miei discorsi la Sovrana, tu staccherai dal soffitto il brillante.

— Benissimo, — rispose Topolina — ma quando l'avrò messo nel cesto, il salone si oscurerà e noi saremo scoperti. —

Il capitano allargò la bocca in un sorriso di soddisfazione.

— Furba la bimba! — esclamò. — Ebbene, tu terrai il brillante in mano, finché non saremo fuori dal salone. Ci siamo intesi?
— Perfettamente. —

Falco sperava nella notte di poter parlare alla sorella ed a Zor. Ma i due fanciulli vennero posti in cabine diverse e sotto la guardia di due marinai, perché non potessero comunicarsi le loro impressioni. Così, Zor se ne stette nel suo ripostiglio. Malgrado la loro apprensione, i due fanciulli si sentivano così stanchi che dormirono tranquillamente. Al loro svegliarsi, seppero che erano vicini al regno della Ricchezza e corsero sul ponte per ammirare il meraviglioso spettacolo che si offriva ai loro occhi. Il regno della Ricchezza si presentava in tutto il suo splendore. Si vedeva da lungi i palazzi di marmo bianco, con peristili a colonne di porfido, colonne superiori ornate di statue d'oro e d'argento. Monumenti in pietre preziose si alzavano accanto a splendidi edifizi, a giardini deliziosi, in cui vegetavano le piante più rare. Gli stessi uccelli che svolazzavano nell'aria, alcuni di proporzioni gigantesche, sembravano aver le penne formate da smeraldi, zaffiri, turchesi e brillanti. Falco e Topolina ne erano abbarbagliati.

— Quale splendore! Che magnificenza! — disse la piccina.
— Come si deve essere felici con tante ricchezze! — esclamò Falco.

Zor, che aveva tratto il suo musetto fuori dal nascondiglio, mormorò:

— Chi sa quanti di quei ricchi cambierebbero la loro sorte colla vostra!
— Non in questo momento, — voleva rispondere Falco, vedendo avvicinarsi il capitano.

Ma Zor era già scomparsa. Il capitano era allegrissimo.

— Fra poco saremo a terra, ragazzi, — disse — e la nostra fortuna si farà.
— Speriamolo, — rispose Falco.

Mentre si ormeggiavano, il fanciullo si avvicinò a Topolina.

— Dammi la marmotta, — disse — che può all'occorrenza giovarmi.
— E se io corressi un pericolo, chi mi aiuterebbe? — chiese Topolina.
— Tu puoi invocare la fata Gusmara.
— E se costei non venisse in mio soccorso?
— Cercherai di aggiustarti in altra maniera.
— Non ti vergogni? — disse la marmotta. — È questo tutto il tuo coraggio e l'amore per la tua sorellina, che ha già fatto tanto per te? Non dicesti che non avevi bisogno di aiuto alcuno per scansare i pericoli che avresti trovati nei regni nemici della buona Fata? No, non verrò con te. Vediamo se saprai cavartela da solo. —

Falco ristette umiliato. Topolina pregò allora Zor di recarsi col fratello, che in quanto a sé avrebbe trovato il mezzo di cavarsi d'impiccio, se avesse corso qualche pericolo; ma la marmotta non volle saperne; volle dare una lezione al fanciullo. Intanto giungeva il momento di sbarcare il carico. Falco venne introdotto nella cassa che avrebbe dovuto contenere la cioccolata e Topolina fu messa in una cesta, dove erano diverse bomboniere, ma fra le quali aveva abbastanza spazio da rincantucciarsi, tenendosi stretta al petto la sua diletta Zor.

tratto da: intratext.com