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Lucarie (Lucaria)


19-21 Luglio si festeggia “Lucaria”. E’ la festa dei boschi e di tutte le  divinità, satiri, ninfe e folletti che vivono nelle foreste, nascosti tra rami  impenetrabili, foglie, radici e muschio. 

Nei Lucaria non è celebrato un dio personale: è la festa dei luci, dei boschi resi sacri dalla vibrazione divina che li anima, sotto forma di luce (lux) che filtra attraverso le foglie degli alberi. Un mondo abitato da presenze divine: riconoscerle nei dettagli della natura, o nelle nostre attività quotidiane, è forse il vero senso di una visione religiosa del mondo che coincide con quella particolare facoltà dell’uomo che è in grado di leggere, nella ricchezza del creato e persino nelle nostre azioni più banali, gli infiniti legami sottesi fra tutte le creature. 

I due giorni dei Lucaria devono essere considerati consecutivi, perché i Romani celebravano le loro feste solo nelle date dispari, reputando infausti i giorni pari. Uno dei giorni più negativi dell’anno cadeva proprio il giorno prima dei Lucaria, il 18 luglio, ed era noto come dies Alliensis, in ricordo della drammatica sconfitta subita nel 390 a.C. contro i Galli di Brenno sul fiume Allia (un piccolo affluente del Tevere subito a nord di Roma). Era il 18 luglio del 390 a.C quando i rovi, i boschi e la selva della piana solcata dall'Allia, salvò i romani sopravvissuti alla disfatta subita ad opera dei Galli. Non appena le grida dei barbari giunsero alle orecchie dei soldati, i Romani, prima ancora di dare un volto a quel nemico sconosciuto, quel nemico che poco dopo avrebbe messo fine all’Impero romano si diedero alla fuga. Gli uomini delle retrovie insieme all’ala sinistra dell’esercito furono massacrati dalla ferocia gallica, l’ala destra scappò verso Roma, mentre gli altri si aggrapparono alla natura e si nascosero nella vegetazione. Da quel giorno per celebrare le divinità dei boschi che avevano sottratto i soldati al massacro dei Galli i Romani istituirono i Lucaria. La festività, quindi, veniva celebrata dal 19 al 21 luglio.Secondo Festo, i primi Lucaria sarebbero stati celebrati proprio dai superstiti della disfatta in un bosco sacro fra la Salaria e il Tevere.

Le Lucarie, altre versioni… 

Tito Livio racconta di due prodigi avvenuti nel 177 a.C. durante i preparativi per una spedizione militare diretta in Spagna. Un meteorite si sarebbe in quell'occasione abbattuto su un lucus sacro a Marte, e un uccello sacro al dio Sancus avrebbe spezzato una pietra con il proprio becco. Non è da escludere che il lucus a cui si fa riferimento sia quello in cui i Romani celebravano le Lucaria. 

Secondo un'altra interpretazione la festa è dedicata genericamente a tutti i boschi e le divinità boschive, mentre per Ovidio (Fasti 2, 67) erano feste consacrata a un asilo che Romolo avrebbe fondato nei pressi del Tevere (tum quoque vicini lucus celebratur Alerni, /qua petit aequoreas advena Thybris aquas). 

Plutarco (Questioni Romane, 88), spiega che il denaro speso per le pubbliche feste era chiamato "lucar" perché intorno alla città c'erano dei boschetti sacri (luci) consacrati agli dei, i cui proventi erano destinati ai pubblici spettacoli. 

Forse le Lucaria si possono identificare con dei riti propiziatori verso gli spiriti (genii) abitatori e protettori dei boschi, come il dio Silvano. Secondo Catone (De Agricultura, 139 - 140), questi riti si eseguivano nei boschi prima di abbatterli per metterli a coltura, o comunque prima di dissodare un terreno incolto, e consistevano nel sacrificio di un maiale, e nella recita di formule propiziatorie, da ripetersi durante i giorni di durata del lavoro, e da ripetere da capo in caso di sospensione del lavoro o di interferenza con altre feste religiose. Secondo altre fonti le Lucarie sarebbero state in onore di Leucaria, madre di Roma, la donna che aveva dato il nome alla città, e a Rhea Silvia madre di Romolo e Remo. 

Sembra che già dal tardo periodo repubblicano le Lucarie non fossero più molto seguite. 

Silvano, Signore delle selve. 

Rappresenta la voce della foresta che parla attraverso il fruscio delle fronde smosse dal vento. Chi ne riesce a decifrare il messaggio può conoscere il futuro. barbuto e munito di un grande bastone di cipresso, ricorda l'irsuto Silvan o il Salvanel, l'Uomo Selvaggio del folklore, spesso sacrificato come personificazione del Carnevale. 

Era considerato temibile e pericoloso per i neonati e le partorienti. Temuto e venerato dai contadini, era uso placare il dio prima di dissodare un terreno, con una triplice cerimonia che ne invocava la protezione sui pascoli, sulle dimore e sui terreni. 

In origine, era un epiteto del dio Fauno o di Marte e solo successivamente assunse il grado di divinità autonoma. Veniva spesso identificato con Pan o con Sileno, spesso si trova unito al nome di Marte. Il suo culto era vietato alle donne. Il loro aspetto era umano con coscia e gambe di caprone e corna sulla fronte. 

Secondo la leggenda, dopo la cacciata da Roma di Tarquinio il Superbo, ammonì l'esercito etrusco, desideroso di riportarlo sul trono, di non attaccare i Romani, mettendolo in fuga. 

Silvano nella mitologia romana, dio dei terreni incolti e delle foreste, protettore di mandrie e greggi. In origine una divinità senza nome, a cui ci si riferiva con l'aggettivo silvanus (latino, 'che abita in un bosco'), fu poi identificato con gli dei associati alla pastorizia, Pan e Fauno. 

In alcune regioni italiane un tempo si credeva che il Dio Silvano, era un abitante dei boschi e capace di infondere una “muta tristezza” in chi lo incontrasse. 

Per guarire, l’incauto visitatore doveva imprimere nella terra umida un’orma del proprio piede destro. Si prelevava poi questa terra per scioglierla nell’acqua che lui doveva bere dopo che un mago aveva pronunciato un incantesimo. Questa ricetta riportata in un manoscritto antico conclude dicendo che in tal modo “serà morto lo silvano et serà vivo lo christiano”. 
 Fonti: andreagaddini.it 
 lareseturbs.it 
ilmamilio.it