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Grifone – creatura della mitologia


Il grifone è un essere leggendario con il corpo di leone e la testa d’aquila, con le zampe anteriori da aquila, dotate di artigli, questo mitico animale è indica la conciliazione della forza con la saggezza, forza e vigilanza, l’ostacolo da superare per arrivare al tesoro.

La testa è a come quella dell’aquila, ha delle orecchie molto allungate, sono a volte descritte come orecchie da leone o da cavallo, a volte piumate, la coda sarebbe un serpente, paragonabile a quella della chimera.

In antichità era un simbolo del potere divino e un guardiano della divinità. Per avere qualche altra informazione in più, bisogna consultare il “Bestiario medievale”, uno dei libri letti all’epoca del Medioevo, in esso erano riportate le opere sia vere che fantastiche di molto autori. Il testo non distinse tra realtà e finzione, tanto che le persone iniziarono a credere all’esistenza di animali come il grifone, l’unicorno o il basilisco.

Le rappresentazioni risalgono a tempi passati nell’arte egiziana, quella indiana e in quella persiana.
Il Bestiario medievale dice che il grifone aveva la grandezza e la forza cento cavalli, inoltre era il guardiano delle miniere d’oro nascoste tra le montagne.
La simbologia del leone unita a quella dell’aquila, può affermare che il grifone è il legame tra la potenza terrena del leone all’energia celeste dell’aquila.
Il grifone deriva da un animale mitologico romano, il Grifo che viveva nei monti Rifei, e custodiva l’oro del Nord. l Grifone è parente dell’Ippogrifo, presente da millenni nell’iconografia dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo e delle civiltà del Medio Oriente.


La penna dell’uccello grifone
ovvero L'osso che canta

C’era una volta un re che aveva una malattia agli occhi.
“Non c’è medicina che ti possa guarire, maestà”, gli dicevano sconsolati i medici. Ma una vecchia, che aveva fama di maga, gli disse: “Il rimedio a dire il vero esiste, è la penna dell’uccello grifone che vive su una pianta altissima e mangia i cristiani come un drago”.
Allora il re chiamò a sé i due figli: “Se tenete alla mia vita, dovete portarmi una penna dell’uccello grifone. Ma vi raccomando di tornare sani e salvi. Prendete due cavalli per ciascuno, uno tenetelo sempre di scorta, non si sa mai cosa può succedere quando si viaggia. Se l’impresa è troppo difficile, abbandonatela, e tornate, tornate…”
I due fratelli partirono insieme, ma fatta poca strada si separarono. “Io vado di qua, tu di là, così potremmo cercare meglio. Ci ritroveremo qui, in questo punto, tra un anno, un mese e un giorno”.
Ma i due fratelli non avevano lo stesso cuore. Il più giovane voleva bene a suo padre, ne aveva pietà per la grave malattia; l’altro, il maggiore, si augurava che morisse per prenderne il posto sul trono del regno. Tanto che, invece di darsi da fare alla ricerca della penna dell’uccello grifone, si fermò in una città, buttò via col gioco e le donne ogni suo avere, si vendette perfino i cavalli e si ridusse a fare la vita del vagabondo e del saltastrade.
Il più giovane camminò per giorni e notti, chiedendo in ogni paese notizie dell’uccello grifone e tutti lo guardavano intimoriti e meravigliati. “Quello lì vuole morire”, commentavano. Finché, in una landa sconosciuta, incontrò quella stessa vecchia che aveva fama di maga la quale gli indicò una pianta altissima dove viveva l’uccello grifone e gli insegnò come prendergli la penna. “Sali sulla pianta e nasconditi bene tra i rami perché se ti vede per te è finita. Quando ti sei appostato per bene, scegli una penna dell’uccello e tienila stretta. Allo spuntare del sole, l’uccello si alza in volo, allora tu non mollarla e la penna e ti resterà tra le mani”.
Così fece e strappò una penna all’uccello grifone.
Tutto contento, prese la strada del ritorno. “Chissà cosa avrà fatto mio fratello”, pensava, “adesso lo ritroverò e sarà certo contento anche lui. Così nostro padre guarirà”. E cammina e galoppa, arrivò al luogo dell’incontro. Suo fratello era già là ad aspettarlo, tutto lacero e sporco per il suo vagabondare.
“Ho trovato la penna dell’uccello grifone”, gridò, appena lo vide, ancora lontano. “Lo vedo, lo vedo”, disse il fratello maggiore. “I miei cavalli sono morti per la stanchezza ed io ho speso tutti i miei soldi per pagare la gente perché mi aiutasse a ritrovare la penna. Guarda come sono ridotto!”, disse mentendo. “Non importa fratello mio! L’importante è che uno di noi due l’abbia trovata e che torniamo vivi e vegeti da nostro padre” “Posso vederla?”, domandò, e mentre suo fratello si girava per prenderla estrasse dalla tasca un coltello e lo ammazzò. Poi lo seppellì in un prato fiorito. Indossò i vestiti del fratello ucciso, prese i suoi cavalli e tornò a casa.
“Papà, è arrivata la fortuna! Ti ho portato la penna dell’uccello grifone” “Ma tuo fratello dov’è che non lo vedo!” “Non lo so. Per cercare meglio abbiamo preso due strade diverse. Speriamo non sia rimasto preda delle bestie feroci”, disse ostentando preoccupazione.
Il re guarì e aspettava, giorno dopo giorno, il ritorno del figlio minore, ma invano perché era sepolto nel prato che da allora era eternamente in fiore. Passò molto tempo. Un giorno, sul luogo della sepoltura, un pastorello trovò un osso con il quale si costruì un flauto. Quando provò a suonarlo, ne uscì come per miracolo una struggente melodia:

“O Pastorino che in bocca mi tieni
suona pur tu che il cuor mi sostieni
mi hanno ammazzato nel prato in fiore
per una penna di uccello grifone”

Era l’anima dello spirito che ancora viveva, anche se il corpo del giovane si era consumato.
Presto il pastorello divenne famoso facendo sentire in giro per le fiere il suo flauto meraviglioso e la gente ne parlava. La cosa giunse all’orecchio del re che convocò il pastorello a corte. “Ho sentito che hai un flauto che canta da solo. Posso sentirlo?” “Subito, maestà”. E il pastorello iniziò a suonare. Quando il re sentì la melodia trasecolò. Riconobbe la voce del figlio e l’anima gli si riempì di dolore. Volle provare a suonare lui stesso il flauto.

“O padre mio che in bocca mi tieni
suona pur tu che il cuor mi sostieni
lui mi ha ammazzato nel prato in fiore
per una penna di uccello grifone”

Un terribile sospetto si annidò nella sua mente. “Portatemi qui il principe”, ordinò alla guardie. Appena arrivato lo obbligò a suonare il flauto.

“Fratello mio che in bocca mi tieni
suona pur tu che il cuor mi sostieni
tu mi hai ammazzato nel prato in fiore
per una penna di uccello grifone”

Il re aveva capito perché il suo figlio minore non tornava più. “Scegli il tuo castigo”, disse al figlio maggiore. Poi si ritirò in disparte a meditare sulla crudeltà della vita: era guarito ma era rimasto senza figli. E ancor oggi nelle fiere si racconta che tanti anni fa c’era un pastorello che meravigliava il mondo con il suo flauto fatto con un osso che cantava da solo.