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Festa del Sole



21 giugno, solstizio d'estate

La parola solstizio viene dal latino “Solis statio”: fermata, arresto del Sole. Solstizio identifica il giorno in cui il sole raggiunge la massima distanza dall'equatore. 
Questo fenomeno avviene due volte all'anno: il 21 giugno, inizio dell’estate, quando il sole determina il giorno più lungo, e il 21 dicembre, quando inizia l’inverno e la notte è la più lunga dell’anno rispetto alle ore di luce. Invece il primo giorno di primavera è detto anche equinozio , dal latino: equus nox , letteralmente uguale notte. l’equinozio è il momento in cui il sole, transitando sull'equatore, rende i giorni uguali alle notti in tutti i paesi della terra. Questo fenomeno avviene solo due giorni all'anno: il 21 marzo, primo giorno di primavera, e il 21 settembre, primo giorno d’autunno.
Il Sole, e il suo simbolo, il fuoco, sono al centro di tutte le religioni delle antiche civiltà e rappresentano le divinità positive, contrapposte a quelle tenebrose e malvagie. Astronomi e sacerdoti, quindi, all'alba della civiltà, si identificano. Altari e osservatori astronomici si confondono. Non c’è da stupirsi, quindi, se in ogni tempo e luogo il giorno del Solstizio viene celebrato con feste, falò, rituali magici e religiosi. 

In Gran Bretagna, a Stonehenge, sopravvivono gli imponenti ruderi di un tempio druidico: due cerchi concentrici di monoliti che raggiungono le 50 tonnellate. L'asse del monumento è orientato astronomicamente, con un viale di accesso al cui centro si erge un macigno detto "pietra del calcagno" (Heel Stone). Al solstizio d'estate il Sole si leva al di sopra della Heel Stone. Pare che alcune combinazioni tra i macigni permettessero di prevedere le maree e le eclissi di Luna e di Sole secondo un ciclo di 56 anni. Stonhenge, insomma, sarebbe non solo un tempio, ma anche un calendario, un osservatorio e una calcolatrice.

Tracce di culti solari si incontrano in tutto il mondo, dalla Polinesia all'Africa alle Americhe, e giungono fino ai nostri giorni: per gli Eschimesi il Sole è la Vita mentre la Luna la Morte, in Indonesia il Sole si identifica con un uccello e con il potere del volo, tra le popolazioni africane primitive la pioggia è il seme fecondatore del dio Amma, il Sole, creatore della Terra. Ma facciamo qualche passo indietro. 

Per gli Inca, la cui massima fioritura si ha intorno al quindicesimo secolo, la divinità Inti è il Sole, sovrano della Terra, figlio di Viracocha, il creatore, e padre della sua personificazione umana, l'imperatore. Attorno a Cuzco, capitale dell'impero, sorgono i "Mojones", torri usate come "mire" per stabilire i giorni degli equinozi e dei solstizi. A Macchu Picchu, luogo sacro degli Inca, si può ancora vedere il "Torreon", una pietra semicircolare incisa per osservazioni astronomiche, e l'"Intihuatana", un orologio solare ricavato nella roccia. 

Per i Maya il Sole è il supremo regolatore delle attività umane, sulla base di un calendario nel quale confluiscono credenze religiose e osservazioni astronomiche per quell'epoca notevolmente precise. 

Tra gli indiani d'America  il Sole è simbolo della potenza e della provvidenza divine.

Presso gli Aztechi è assimilato a un giovane guerriero che muore ogni sera e ogni mattina risorge, sconfiggendo la Luna e le stelle: per nutrirlo il popolo azteco gli sacrificava vittime umane.

Leggende analoghe, anche se fortunatamente meno feroci, si trovano ancora tra le popolazioni primitive nostre contemporanee. Gli stessi Inuit (eschimesi) ritenevano fino a poco tempo fa che il Sole durante la notte rotolasse sotto l'orizzonte verso nord e di qui diffondesse la pallida luce delle aurore boreali: convinzione ingenua, ma non poi tanto sbagliata, visto che oggi sappiamo come le aurore polari siano proprio causate da sciami di particelle nucleari proiettate nello spazio ad altissima energia dalle regioni di attività solare. 

Tutto il culto degli antichi Egizi è dominato dal Sole, chiamato Horus o Kheper al mattino quando si leva, Ra quando è nel fulgore del meriggio e Atum quando tramonta. Eliopoli, la città del Sole, era il luogo sacro all'astro del giorno, il tempio di Abu Simbel, fatto costruire da Ramses II nel tredicesimo secolo avanti Cristo, era dedicato al culto del Sole. 
Secondo la cosmologia egizia il Nilo era il tratto meridionale di un grande fiume che circondava la Terra e che, verso nord, scorreva nella valle di Dait, immersa nell'eterna notte. “Il fiume - scrive Dreyer nella sua classica "Storia dell'astronomia da Talete a Keplero - trasportava una imbarcazione su cui era un disco di fuoco, il Sole, un dio vivente chiamato Ra, che nasceva ogni mattino, cresceva e acquistava vigore fino a mezzogiorno, quindi passava su un'altra barca che lo portava fino all'ingresso per Dait; di qui altre barche (su cui siamo meno informati) lo portavano durante la notte sino alla porta dell'oriente. In tempi più tardi il libro "Am Duat" o "Libro dell'oltremondo", racconta accuratamente il viaggio del dio Sole durante le dodici ore notturne, quando egli illumina successivamente dodici separate località dell'oltremondo. A volte, durante le ore diurne, la barca è assalita da un enorme serpente: allora il Sole si eclissa per breve tempo. 
Si devono agli Egizi alcune delle prime precise osservazioni astronomiche solari, in base alle quali i sacerdoti del faraone prevedevano le piene del Nilo e programmavano i lavori agricoli. Le piramidi sono disposte secondo orientamenti astronomici, stellari e solari. Gli obelischi erano essenzialmente degli gnomoni, che con la loro ombra scandivano le ore e le stagioni. Gli orologi solari erano ben noti e ne esistevano diversi tipi, alcuni dei quali portatili, a forma di T o di L, chiamati "merket": il faraone Thutmosis III, vissuto dal 1501 al 1448 avanti Cristo, viaggiava sempre con la sua piccola meridiana, come noi con il nostro orologio da polso. La prima comparsa di Sirio, la stella più luminosa del cielo, all'alba, in estate, era per gli Egizi il punto di riferimento fondamentale del calendario. Il loro anno era di 365 giorni esatti, ma sapevano già che in realtà la sua durata è maggiore di circa sei ore, per cui avevano calcolato che nel corso di 1460 anni la data delle inondazioni del Nilo faceva una completa rotazione del calendario. 

Per i Sumeri, l’antica popolazione agricola della Mesopotamia (3500 - 2000 avanti Cristo), il Sole, chiamato Shamash, è il figlio di Sin, la Luna, ma stranamente non appartiene al gruppo delle divinità più importanti: dio supremo è An, il Cielo e capo effettivo del pantheon sumero è Enlil, il signore del Vento e della Tempesta.
Shamash, il dio del Sole, tra Ishtar (sumero: Inanna), la dea della fecondità e della bellezza; Ninurta, dio della pioggia, della fertilità, della guerra, dei temporali, con il suo arco e il leone, ed Ea (sumero: Enki), dio dell'acqua.

I primi e più attenti studi del movimento del Sole risalgono ai Babilonesi, subentrati ai Sumeri intorno al 2000 avanti Cristo, e si collegano alla loro complessa mitologia astrologica. Ancora più accurate furono le osservazioni dei Caldei, popolazione aramaica installatasi nel sud della Mesopotamia, dove rimase fin verso il 1000 avanti Cristo: furono i Caldei i migliori astronomi dell'antichità pre-ellenica. 

La cosmologia babilonese ebbe due scuole ben differenziate, che facevano capo ai due santuari più importanti, quello di Eridu, sulla costa del Golfo Persico, e quello di Nippur, nella Mesopotamia settentrionale. Per i fedeli di Eridu l'acqua è il principio di tutte le cose, il fiume Oceano circonda il mondo e al di là di esso il dio Sole pasce i suoi armenti. Per i fedeli di Nippur al vertice della volta celeste c'è la Casa del Sole da cui l'astro esce ogni mattina per una porta a oriente, rientrandovi a sera da una porta opposta. 
La Terra era immaginata come una montagna divisa in 7 zone o in 4 quadranti. In essa si distinguevano una montagna del levar del Sole, risplendente, e una montagna oscura, dove il Sole calava. Sole, Luna e stelle erano divinità viventi, animate di moto circolare. Molte di queste idee passarono tra gli Ebrei e si ritrovano nei libri dell'Antico Testamento. 
Presso i Babilonesi l'istante del tramonto del Sole rappresentava l'inizio del giorno, che era diviso in 12 intervalli detti "kaspu". La misura del "kaspu" era determinata dal Sole e corrispondeva a 30°, che è appunto l'arco di cielo che il Sole percorre in due ore.

Sin dai tempi più remoti il cambio di direzione che il sole compie, tra il 21 e il 22 giugno, è visto come un momento particolare e magico.
Il "sole che rotola via" è associato, in un certo senso, alla testa del San Giovanni decapitato, che nella memoria religiosa si sovrappone al sole che cambia direzione.. 
La trasversalità di queste tradizioni, comuni a popoli così diversi, è facilmente spiegabile. I riti e le pratiche erano basate sulla semplice osservazione dei corpi celesti; questi fenomeni erano visibili in tutte le zone del mondo, da tutte le culture.

La religione cattolica divenne ben presto conscia dell'importanza di questo periodo e dei festeggiamenti a esso associati, e ai riti pagani sovrastò le proprie celebrazioni. Da qui il solstizio d'estate è diventato la festa di San Giovanni il Battista, che sarebbe nato esattamente sei mesi prima di Cristo. 
Il 25 dicembre, giorno in cui il sole ricomincia la sua corsa dopo il solstizio d'inverno, coincide invece con il Natale. 
In molte zone d'Italia ancora oggi si svolgono riti e feste di origine pagana, che la Chiesa ha cercato di cancellare, non riuscendoci completamente, perché tali credenze sono radicate nelle usanze popolari. Così oggi, nella festa di San Giovanni, si svolgono delle celebrazioni con questa strana mescolanza di elementi sacri e profani. 
Nella notte tra il 23 e il 24 giugno si usa bruciare le vecchie erbe nei falò e andare alla raccolta delle nuove oltre che mettere in atto diversi tipi di pratiche per conoscere il futuro perchè, come dice il detto, " San Giovanni non vuole inganni".

La festa di San Giovanni è una festa solstiziale, una celebrazione legata intimamente alle credenze pagane, pre-cristiane, ed al periodo della raccolta delle piante e delle erbe da usare nelle operazioni magiche.


Le erbe di San Giovanni

Al solstizio d'estate, quando il sole raggiunge la sua massima inclinazione positiva rispetto all'equatore celeste, per poi riprendere il cammino inverso, comincia l'estate
Tale giorno era considerato sacro nelle tradizioni precristiane ed ancora oggi viene celebrato dalla religiosità popolare con una festa che cade qualche giorno dopo il solstizio, il 24 giugno, quando nel calendario liturgico della Chiesa latina si ricorda la natività di San Giovanni Battista. 
E nella festa di San Giovanni convergono i riti indoeuropei e celtici esaltanti i poteri della luce e del fuoco, delle acque e della terra feconda di erbe, di messi e di fiori.
Tali riti antichi permangono, differenziandosi in varie forme, nell'arco di duemila anni, benché la Chiesa ostinatamente abbia tentato di sradicarli, o perlomeno di renderli meno incompatibili con la solennità e si esauriscono soltanto con la sistematica repressione dei governanti laici dell'Italia unita: nelle zone rurali si mantengono tuttavia i riti più semplici e naturali, propri della società contadina e pastorale.
Tutte le leggende si basano su di un evento che accade nel cielo : il 24 giugno il sole, che ha appena superato il punto del solstizio, comincia a decrescere, sia pure impercettibilmente, sull'orizzonte : insomma, noi crediamo che cominci l'estate, ma in realtà, da quel momento in poi, il sole comincia a calare, per dissolversi, al fine della sua corsa verso il basso, nelle brume invernali. Sarà all'altro solstizio, quello invernale, che in realtà l'inverno, raggiunta la più lunga delle sue notti, comincerà a decrescere, per lasciar posto all'estate.
E' così che avviene, da millenni, la corsa delle stagioni.
Nella notte della vigilia di San Giovanni, la notte più breve dell'anno, in tutte le campagne del Nord Europa l'attesa del sorgere del sole era  propiziata dai falò accesi sulle colline e sui monti, poiché da sempre, con il fuoco, si mettono in fuga le tenebre con le tenebre e con esse gli spiriti maligni, le streghe e i demoni vaganti nel cielo. Attorno ai fuochi si danzava e si cantava, e nella notte magica avvenivano prodigi : le acque trovavano voci e parole cristalline, le fiamme disegnavano nell'aria scura promesse d'amore e di fortuna, il Male si dissolveva sconfitto dalla stessa forza di cui subiva alla fine la condanna la feroce Erodiade, la regina maledetta che ebbe in dono il capo mozzo del Battista. Nella veglia, tra la notte e l'alba, i fiori bagnati di rugiada brillavano come segnali ; allo spuntar del sole si sceglievano e raccoglievano in mazzi per essere benedetti in chiesa dal sacerdote. Bagnarsi nella rugiada o lavarsene almeno gli occhi al ritorno della luce era per i fedeli cristiani un gesto di purificazione prima di partecipare ai riti in chiesa. 
La rugiada ricordava il battesimo impartito dal Battista nel Giordano, le erbe dei prati e dei boschi riproponevano l'austera penitenza di Giovanni nel deserto prima della sua missione di precursore del Messia. Anche in Valsesia ritroviamo l'usanza dei falò, del lavacro con la rugiada e della benedizione in chiesa del mazzo di erbe e di fiori. Conservate gelosamente in casa, portate all'alpeggio in estate - verso il quale da molti paesi si partiva la stesso giorno del 24 di giugno - le erbe benedette riconsacravano la baita di montagna lasciata l'anno prima mantenendo tra le famiglie dei pastori un legame con la sacralità della festa e del rito d'inizio d'estate. Al ritorno dall'alpe, quelle stesse erbe essiccate, unite ad un ramo di olivo e ad uno di ginepro, venivano bruciate nella stalla a protezione degli animali. Non a caso, dunque, il precursore di Cristo, rappresentato con l'Agnello mistico e vestito da eremita, pastore del deserto, fu assunto dai pastori come patrono privilegiato fino dai primi secoli cristiani.
Il rito della benedizione dei "fiori di San Giovanni", erbe benefiche e medicine medievali per curare il corpo ed evitare il malocchio, per proteggere la casa e gli animali domestici era assai diffuso in Valsesia, fino a pochi decenni fa.

Ed ancora le donne si recano in processione, recando con loro i fiori da benedire.
I fiori di San Giovanni, dunque : l'artemisia, l'arnica ; le bacche rosso fuoco del ribes...


La verbena, della quale è credenza diffusa che, colta a mezzanotte della vigilia di San Giovanni, costituisca un'infallibile protezione contro i fulmini, ed è conosciuta in Bretagna come "erba della croce", perché si ritiene che protegga chi la porta con sé da qualsiasi male ed anche come "erba della doppia vista" perché il berne un infuso facilita la visione di realtà altrimenti nascoste.

L'erica, la pianticella sottile è un fiore delle nevi e dei terreni poveri ed ostili. Infatti, il suo nome deriva dal verbo greco "ereiko", spezzo, rompo, proprio perché l'erica è più forte della dura crosta di terra invernale o della neve che la ricopre, tant'è che la buca senza fatica, emergendo all'aria aperta. I fiori dell'erica, che vanno dal bianco alle varie tonalità di rosa, assomigliano, rovesciati, ai copricapi degli elfi.
Della stessa famiglia dell'erica è un'altra pianticella, detta brugo, da brucus, termine tardolatino di origine celtica, da cui deriva il termine brughiera, poiché in questa terra povera e arida la pianticella riesce a vivere meglio di altre, coprendo immense distese.
L'erica, dal nome più romantico, era tenuta in grande considerazione fin dall'antichità, tanto da essere utilizzata per costruire le scope che sarebbero servite a pulire i templi degli Dei, e successivamente, in tempi più severi, il forno dove cuocere il pane.

Le leggende associano spesso l'erica alle Entità Fatate, facendole dimorare fra i suoi rami e sconsigliando di sdraiarsi a dormire fra queste piantine, per non correre il rischio di essere rapiti dal mondo delle fate. Di contro, era possibile accedere ai segreti dell'Aldilà, semplicemente dormendo su un letto di erica, che è anche spesso giaciglio degli amanti in numerose leggende.
E l'erica è posta a guardia del solstizio d'estate, periodo nel quale raggiunge la fioritura più completa. Usanza derivante probabilmente dal mondo celtico, dove l'erica è collegata sia all'Aldilà sia all'amore : le api, simbolo di saggezza segreta che proviene dall'Altromondo, sono particolarmente ghiotte dei fiori di questa piantina e producono così un miele squisito, da sempre legato a riti e significati di immortalità e di rinascita.

E ancora, tipico della notte di San Giovanni, il raro, misterioso fiore della felce che cresce nella notte magica, e si dice fiorisca a mezzanotte. 
La storia relativa ai fiori magici è interessante, ed è frutto di credenze molto diffuse. In Boemia, ad esempio, si crede che il fiore della felce risplenda come l'oro, o come il fuoco, nella notte di San Giovanni : chiunque lo possieda in questa magica notte, e salga una montagna tenendolo in mano, scoprirà una vena d'oro, e vedrà brillare di fiamma azzurra i tesori della terra.
In Russia, i contadini raccontano che chi riesce ad impadronirsi del meraviglioso fiore nella vigilia di San Giovanni, se lo getta in aria, lo vedrà ricadere per terra nel punto preciso dove è nascosto un tesoro. Pare che questo fiore fiorisca improvvisamente, talvolta, a mezzanotte precisa della magica notte del solstizio d'estate; e, sempre in Russia si racconta che chi abbia la fortuna di cogliere l'istante di quella fioritura improvvisa, potrà nello stesso tempo assistere a tanti altri spettacoli meravigliosi: gli sarebbero apparsi tre soli, e una luce avrebbe illuminato a giorno la foresta, e avrebbe udito un coro di risa, ed una voce femminile chiamarlo. Il fortunato a cui accade tutto questo non deve spaventarsi: se riesce a conservare la calma, raggiungerà la conoscenza di tutto ciò che sta succedendo o succederà nel mondo. Anche se resta da vedere se quest'ultima sia una buona magia.
Ma anche il seme della felce, che si vuole risplenda come oro nella notte di San Giovanni, non diversamente che dal magico fiore, farebbe scoprire i tesori nascosti nella terra: i contadini del Tirolo credono che alla vigilia di San Giovanni si possano veder brillare come fiamme i tesori nascosti e che il seme della felce raccolto in questa mistica notte possa portare alla superficie l'oro celato nelle viscere della terra. Nel cantone svizzero di Friburgo, il popolo usava un tempo vegliare vicino ad una felce la notte di San Giovanni, nella speranza di guadagnare il tesoro che qualche volta il diavolo in persona portava loro.

Un altro fiore, questo facilmente rintracciabile e che appare d'oro anche ad occhio nudo, è legato nella memoria popolare al solstizio d'estate. La densità della sua fioritura è tale da risaltare sulle grandi distese, come una gran macchia di colore giallo oro misto a rame ; i fiori infatti, così numerosi e brillanti, durano poco, un giorno soltanto, e subito appassiscono e assumono un colore rosso ruggine. Si tratta dell'iperico, un fiore dei campi che è detto erba di San Giovanni, perché anticamente chi si trovava per strada la notte della vigilia, quando le streghe si recavano a frotte verso il luogo del convegno annuale, se ne proteggeva infilandoselo sotto la camicia insieme con altre erbe, dall'aglio, all'artemisia, alla ruta. Il suo stretto legame col Battista sarebbe testimoniato dai petali che, strofinati tra le dita, le macchiano di rosso perché contengono un succo detto per il suo colore "sangue di San Giovanni". E' davvero difficile risalire alla motivazione di questo accostamento - perché il Battista e non un altro martire ? - se non forse il fatto che l'iperico è un fiore che si accontenta di poco, per sopravvivere, e vive anche nei climi desertici, come fece un tempo Giovanni il Battista.
Nelle leggende si parla anche di un 'erba piccolissima e sconosciuta, detta Erba dello Smarrimento. Si dice che essa venisse seminata dalle Fate e dai Folletti nei luoghi da loro frequentati e, calpestata, avrebbe allontanato dalla retta via il malcapitato. A questa leggenda si intreccia quella, di origine tedesca, che, se taluno passa vicino alla magica fioritura della felce, nella notte di San Giovanni, senza raccogliere il seme che la pianta lascia cadere, sarà condannato a smarrirsi per via, anche se percorre strade a lui note. 
Altrettanto conosciuta era l'Erba Lucente, che consentiva, se portata sul corpo, di vedere la verità delle cose senza mascheramenti o inganni. Poiché quest'erba era invisibile agli uomini, ma non ai bovini domestici, la si poteva raccogliere solo seguendo un vitello al suo primo pascolo, oppure le mandrie, nella notte di San Giovanni. Si raccontava infatti che in quelle occasioni i bovini mangiassero solo quell'erba, dando così la possibilità a chi proprio lo desiderava di individuarla. Le vecchie storie non tramandano cosa accadesse agli incauti che ci riuscivano, cui da allora, conoscendo ogni verità, era negata la possibilità dell'illusione.
Fonte: tanogabo.it