Lo scoppio del Carro a Firenze
Simbolo della Pasqua fiorentina è lo Scoppio del Carro. Due buoi bianchi trasportano il Carro dal Piazzale del Prato fino al Duomo di Firenze. Un filo di ferro unisce il Carro all'altare maggiore. Lungo il filo è legata una colombina che porta nel becco un ramoscello di ulivo e ha il compito di scivolare con la miccia accesa per incendiare i fuochi d'artificio contenuti nel carro. Durante la S. Messa, al momento del Gloria, l'Arcivescovo accende i razzi della colombina che scorre lungo un filo, percorrendo tutta la navata centrale; qui appicca il fuoco ai mortaretti piazzati sul "Carro" e torna indietro verso l'altar Maggiore. Se la colombina compie il percorso per intero e lo scoppio è perfetto, si preannuncia per la città toscana un anno positivo. Il Carro
attuale conserva ancora al suo interno "le pietre del Santo Sepolcro", che sono alle origini di questa cerimonia tradizionale. Si racconta, infatti, che nel 1099 il capitano fiorentino Pazzino dei Pazzi si batté valorosamente contro gli infedeli e, dopo aver scalato le mura di Gerusalemme, vi issò il vessillo cristiano. Per tali gesta Goffredo di Buglione premiò Pazzino con tre scaglie di pietra del santo Sepolcro di Cristo. Le tre pietre, portate da Pazzino a Firenze nel 1101, furono usate per trarne una scintilla di fuoco "novello" distribuito, dopo la benedizione, alle famiglie per riaccendere il focolare domestico. Si diffuse in tal modo a Firenze l'uso, attestato per Gerusalemme durante le Crociate, di distribuire al clero ed al popolo il "fuoco santo" nella basilica dell'Anastasis o del Santo Sepolcro, come segno della Resurrezione di Cristo. Con un carro "la fiamma nuova" veniva distribuita anche nelle abitazioni a cominciare da quelle dei Pazzi, che a lungo conservarono questo privilegio, accanto all'onere di organizzare la cerimonia. Fu la famiglia dei Pazzi infatti con la costruzione del monumentale "Carro di Fuoco" detto "Brindellone", simile al carroccio cittadino, a gettare le basi dell'odierna cerimonia. Per secoli i discendenti della famiglia hanno mantenuto questa tradizione, che è stata ripresa in tempi recenti fino a diventare il simbolo della festa pasquale della città.
Abballu de li diavuli (Prizzi)
A Prizzi (Palermo) si tiene una singolare rappresentazione nel giorno di Pasqua.
I personaggi indossano maschere di zinco terrificanti, vestiti rossi, denti bianchi lunghi e sporgenti ed enormi corna in modo da raffigurare dei diavoli.
Per tutta la giornata gruppi di giovani che impersonano i diavoli girano per il paese cercando di catturare quante più anime possibile. Assieme ai diavoli c'è anche la Morte, che armata di balestra, indica fra i passanti le cosiddette vittime. Chi è simbolicamente colpito dalla morte non ha via di scampo: viene catturato dai diavoli e trascinato di peso al più vicino inferno che non è altro che un bar o un'osteria. Qui il malcapitato è costretto ad offrire da bere a tutti.
Nel pomeriggio entra in scena la Madonna che esce dalla chiesa principale e va incontro al Cristo risorto. Alla visione della madre e del figlio riuniti, i diavoli interrompono il ballo e altri giovani vestiti da angeli li catturano e li portano al cospetto della Madonna.
I diavoli domati si inginocchiano fra le due statue e si tolgono le maschere chiudendo la rappresentazione.
Rito della Passione (Barile)
Barile rivive ogni anno la giornata della Passione, grazie ad una tradizione secolare che vede nella cittadina la rappresentazione religiosa del calvario e della morte di Gesù Cristo.
Non c'è dubbio che si assiste ad un corteo altamente suggestivo, in cui figurano tutti i personaggi e gli strumenti della passione di Cristo.
La Sacra Rappresentazione del Venerdì Santo consiste di un corteo che si snoda per cinque chilometri, capeggiato da tre centurioni a cavallo e da tre bambine vestite di bianco che simboleggiano le tre Marie. Di seguito troviamo una ragazza vestita di nero che reca lo stendardo con i segni della passione di Cristo e trentatrè bambine vestite di nero. Accanto alle drammatiche scene di dolore e di pianto, si notano personaggi che conservano fedelmente le descrizioni bibliche, convivono elementi assolutamente originali, dove la realtà storica si interseca con la fantasia popolare. Pare che il primo a creare la manifestazione sia stato tanti secoli fa un sacrestano della Chiesa Madre. Per arricchire la Via Crucis, si ingegnò con pochi mezzi e rudimentali costumi a rappresentare le scene del dramma. La partecipazione popolare è altissima sia nella fase preparatoria, che in quella conclusiva. Durante i preparativi cittadini di ogni età offrono gioielli e oggetti della passione come contributo alla processione. Nella rappresentazione sono coinvolte circa 126 persone tra giovani, ragazze e giovanette, quindi 25 gruppi di personaggi percorrono per quattro ore le vie del paese. Il corteo si chiude con la presenza delle statue del Cristo Morto e dell'Addolorata, preceduti dal Sacerdote che invita i fedeli alla preghiera ed alla meditazione. Nella straordinaria rievocazione della passione di Cristo, motivo di grande significato è l'oro che copre i simboli e riveste i personaggi della sacra rappresentazione.
Sembra che si vogliano rappresentare statue piuttosto che figure in carne e ossa, proprie dell'arte bizantina. E' l'oro, infatti, il motivo ricorrente della manifestazione: l'oro che copre le croci e gli abiti bianchi delle "tre Marie", bimbe che simboleggiano purezza e innocenza, le braccia impastate della Veronica, oro alle dita dei sacerdoti del Sinedrio; l'oro - infine- che intesse il vestito dell'Addolorata, identico a quello della statua che troneggia in ogni chiesa del Sud. Ma, soprattutto, l'oro "veste" la zingara, personaggio singolare che, secondo la tradizione popolare, ha acquistato i chiodi per la crocifissione. Zingara e Moro (simbolo rappresentativo del male) sono fra i pochi personaggi che si muovono nel corso della processione, ostentando indifferenza e persino allegria nel generale clima di tragedia. Da Natale in poi la ragazza di Barile che interpreterà la zingara (di solito una bella bruna prosperosa) riunisce gli ori delle famiglie del paese. Con i dieci chili di splendidi ori antichi che così raccoglie, la zingara "costruisce" un corpetto ricchissimo, e ancora se ne riempie le dita e le braccia, i capelli e il collo e, ridendo sfacciata, ancheggiando sfrontata davanti all' Ecce Homo insanguinato, regala alla gente ceci e confetti, estraendoli da un cestino in cui si vedono i chiodi della crocifissione.
Le celebrazioni risalgono alla fine del Seicento e si rifanno alla tradizione spagnola, come dimostra lo stesso nome della città “Iglesias”, che significa “Chiese”. Si comincia il Martedì Santo, con la processione dei misteri durante la quale i giovani fedeli chiamati “Baballottis” portano a spalla i sette simulacri raffiguranti gli episodi della Passione di Gesù, accompagnati dall’Arciconfraternita del Santo Monte che sfila con il volto coperto indossando una tunica di tela bianca lunga fino ai piedi, ornata da fiocchi neri. La tradizione spagnola vuole
che la portantina del primo simulacro, che rappresenta Gesù che prega nell’orto degli ulivi, sia ornata da ramoscelli d’ulivo benedetti, fiori ed essenze mediterranee, che vengono poi distribuiti il giorno successivo ai numerosi fedeli. Oltre alle processioni, è la Domenica di Pasqua (24 aprile) la festa più importante. La mattina le campane suonano a festa e l’immagine del Cristo Risorto fa il suo trionfale ingresso nella cattedrale. In città si svolgono due processioni, una che accompagna il Cristo risorto, l’altra che segue la Madonna: la tradizione vuole che, dopo aver percorso itinerari diversi, avvenga “Su Incontru”, il commovente momento dell’incontro tra i due cortei che proseguano insieme verso la cattedrale dove il Vescovo attende per la benedizione solenne. In questa circostanza, i fedeli offrono ai Confratelli il “coccoi de Pasca”, un pane tipico.
Ostensione dei Sacri Vasi a Mantova
Come ogni anno, da secoli ormai, Mantova rivive l’Ostensione dei Sacri Vasi che contengono alcune gocce rapprese di sangue, ritenuto proprio di Gesù Cristo, misto ad un poco di terriccio. I due reliquari d’oro, conservati nella cripta sotterranea dell’imponente Basilica di Sant’Andrea (quelli attuali sono stati realizzati nel 1876 dal milanese Giovanni Bellezza, su commissione dell’Imperatore Francesco Giuseppe, per compensare quelli del ’500 che erano stati trafugati), massima espressione del genio di Leon Battista Alberti, vengono esposti, il pomeriggio del Venerdì Santo, alla venerazione dei fedeli sull’altare maggiore della Chiesa. Si racconta che la sacra reliquia venne portata a Mantova da San Longino, il soldato romano che secondo i Vangeli trapassò con una lancia il costato di Gesù sulla croce. La leggenda popolare narra che Longino, sconvolto dal proprio gesto e convertito alla fede, raccolse il sangue del Redentore e si mise in viaggio per predicare la parola del Signore, fino ad arrivare a Mantova. Qui nascose la preziosa reliquia: seppellì la terra insanguinata - contenuta nei due vasi in una cassetta di piombo - nell’orto annesso allo “Spedale del Pellegrino”. Alla sera del Venerdi Santo si tiene una processione lungo le vie del centro storico mantovano, in cui il Vescovo “mostra” a turisti e fedeli questi preziosi e sacri Vasi.
La Turba di Catino
A Cantiano, vicino a Pesaro, si assiste alla “Turba”, che significa la folla. La manifestazione trasforma l’intero nucleo abitativo storico del paese in un’enorme scena all’aperto fondendo la ricostruzione scenografica con gli elementi architettonici e orografici. Il Calvario di Cristo è ricordato da centinaia di figuranti in abiti d’epoca con scene della vita di Gesù nel centro storico del paese. Fin dal primo pomeriggio del Venerdì Santo, i cavalieri cominciano il loro carosello. Dopo le tre ore di agonia, appaiono i primi personaggi in costume e verso sera si avvia la processione.
Accanto ai riti sacri si susseguono diverse manifestazioni a carattere più profane.
In Carinzia si fa il lancio delle uova miracolose.
Secondo un’antica credenza, le uova che le galline depongono il Giovedì Santo, chiamate “Antlasseiern”, hanno poteri miracolosi e non devono assolutamente essere toccate con le dita fino al Sabato Santo. Il sabato si prendono le uova e si lanciano oltre il tetto della casa: proprio dove cadono, lì verranno sepolte. Questo gesto mette al sicuro la casa dai fulmini per tutto l’anno.
A Montefalco (Pg), va in scena ogni lunedì dell’Angelo, la gara della “ciuccetta”.
Gli abitanti del centro storico e delle campagne, ciascuno con il proprio canestro di uova, simbolo antichissimo di vita e di creazione, si ritrovano in paese per sfidarsi, con particolari tecniche affinate nel tempo dall’esperienza dei partecipanti. Le regole sono semplici, si partecipa con sei uova fresche che devono essere sbattute l’una contro l’altra. Chi rimane con più uova intatte, vince.
A Tonara (Nuoro), il giorno di Pasquetta, si svolge invece la sagra del Torrone.
Il torrone morbido e caldo da assaggiare nei diversi gusti (mandorle, noci, nocciole, corbezzolo, limone e limoncello) e i profumi di mandorle e miele, di noci e noccioline che si mescolano a quello dei boschi millenari di Tonara. Non mancano canti, balli, mostre ed esposizioni di oggetti artigianali.
A Sarsina si tiene la Sagra della Pagnotta Pasquale.
Si tratta di un pane dolcificato (talvolta con aggiunta di uvetta sultanina) preparato dai forni locali e che un tempo si accompagnava, la mattina di Pasqua, con l’uovo benedetto.
Tredozio ospita la Sagra e Palio dell’Uovo.
Appuntamento nato dall’antica usanza locale della battitura delle uova sode che si svolgeva nel giorni di Pasqua come rituale propiziatorio alla Primavera. Momenti clou della manifestazione sono il campionato nazionale mangiatori di uova sode (con il record della gara fissato a 19 uova ingoiate in 3 minuti) e il Palio dell’uovo, che vede coinvolti i 4 rioni di Tredozio in altrettante gare, dalla battaglia delle uova crude alla ricerca di 200 uova in un pagliaio.
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