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Il diario di Adamo ed Eva di Mark Twain

“Il diario di Adamo ed Eva” di Mark Twain è una rivisitazione satirica e singolare del celebre mito. Per comprendere l’originalità del piccolo racconto (neanche una cinquantina di pagine), dobbiamo pensare che nel XX secolo un “rifacimento” della Bibbia era considerato scandaloso. Twain, fingendo di credere al mito, si diverte ad immaginare come siano potute andare realmente le cose e a come possa esser nata l’attrazione tra i due sessi. È una versione ironica e fiabesca dell’incontro tra l’uomo e la donna per eccellenza, caricati di tutti gli stereotipi dell’uomo moderno, come se fossero vissuti davvero ai nostri giorni. Adamo, dai modi un po’ rozzi e facilmente irritabile, è infastidito dalla presenza di Eva, che lo segue incuriosita, parlando ininterrottamente e dando un nome a tutte le cose. Eva è romantica, vanitosa, chiacchierona. Adamo è cinico, solitario, rude. Il loro incontro sembra destinato al disastro e la nascita del piccolo Caino non pare migliorare la situazione: Adamo non vuole riconoscerlo come figlio, perché ai suoi occhi è solo uno strano animale. Come nell’originale, Eva e Adamo mangiano la mela e vengono introdotti nel mondo la morte, l’istruzione e il lavoro. Cose che sembrano piacere solo ad Eva. Eppure, nonostante le diversità, uomo e donna si amano. Eva scrive nel suo diario: “Se chiedo a me stessa perché lo amo, non so dare una risposta, ma in realtà non mi importa tanto di saperlo… credo che debba essere così” e il “burbero” Adamo, sulla tomba di Eva, scriverà: “Dovunque era lei, là era l’Eden” E così, sembra segnato a ripetersi all’infinito il destino degli uomini. 

Quando Adamo incontra il nuovo essere di pelo lungo nel giardino dell’Eden, capisce che niente sarà più come prima...
Dal diario di Adamo: “Il nuovo essere dice che si chiama Eva. Tutto a posto. Nessuna obiezione. Dice che è per chiamarlo quando voglio che venga. Ho risposto che in tal caso era ‘superfluo’. Questa parola mi ha fatto salire nella sua considerazione ed è, in effetti, una gran bella parola, di quelle che si possono ripetere più di una volta. Il nuovo essere dice che non è un essere, ma una Lei. Dubito, ma per me fa lo stesso. Quel che è non mi interessa, purché si faccia i fatti suoi e non parli”. 
Adamo scrive che la sua vita non è più felice come un tempo perché il nuovo essere parla in continuazione, vuole dare un nome a ogni cosa, si specchia nell’acqua, chiama pesci i pesci, è curiosa di tutto, vuole mangiare le mele, chiacchiera col serpente, sostiene che le cascate sono state fatte per il paesaggio e non per tuffarcisi dentro e, se Adamo scappa lontano per starsene in pace, lo insegue, fa rumori terribili con la bocca e le esce una gran quantità d’acqua dagli occhi, tanto che lui è costretto a tornare nella caverna con lei. “Dice che questo posto potrebbe essere una bella residenza estiva, se solo ce ne fosse l’abitudine. ‘Residenza estiva’! – un’altra delle sue invenzioni – Che sarà mai una residenza estiva? La cosa migliore è non chiederglielo nemmeno, ha sempre una voglia pazza di dare spiegazioni”. E’ lei a mangiare la mela per prima, ma riesce a dare la colpa ad Adamo, è lei a spiegargli che adesso dovranno lavorare per vivere e lui commenta: “Mi sarà utile. Coordinerò”. Adamo si sconvolge quando Eva trova una specie di pesce nel bosco, lo chiama Caino e lo tiene sempre in braccio. “La domenica lei non lavora, si distende completamente distrutta e le piace tenere il pesce quasi spalmato sopra di sé. Fa versi idioti per divertirlo e finge di mordergli le zampe, cosa che lo fa ridere. Non ho mai visto ridere un pesce. La cosa mi turba […]. Le domeniche cominciano a piacermi. Sovrintendere per tutta la settimana mi lascia un po’ammaccato. Dovrebbero esserci più domeniche. All’epoca erano dure, ma oggi farebbero comodo”. E lei, Eva, quando vede Adamo la prima volta lo trova un po’ volgare, poi prende una decisione: “Beh, credo che lo considererò un uomo fino a prova contraria. E’ meglio così che restare sempre nell’incertezza”. Lo insegue in cerca di compagnia, usa il “noi” per farlo sentire incluso in qualcosa e a poco a poco (nel frattempo scopre il fuoco ma pensa che serva solo come miglioramento estetico) si accorge di amarlo: “Non è per via della sua intelligenza che lo amo, assolutamente no. Non è colpa sua se si ritrova l’intelligenza che ha, non se l’è fatta da sé… sì, penso di amarlo per la semplice ragione che è mio ed è maschio”.