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Storie di fantasmi per il dopocena (Jerome K. Jerome)


LA MIA STORIA

Non appena mio zio ebbe terminata la sua storia, come vi ho già detto, mi alzai e dissi che, quella stessa notte, io avrei dormito nella Camera azzurra.

- Mai!- gridò lo zio, balzando in piedi. - Non correrai questo pericolo mortale. E poi, il letto non è rifatto.

- Il letto non ha importanza - replicai. - Ho vissuto in camere ammobiliate per scapoli e mi sono abituato a dormire su letti che non erano stati rifatti da anni. Non contrastarmi nella mia decisione.
Sono giovane, ed è più di un mese che ho la coscienza pulita. Gli spiriti non mi faranno del male. Posso addirittura essere io a fare un po' di bene a loro, convincendoli a stare zitti e ad andarsene. E poi, mi piacerebbe assistere allo spettacolo.

Detto questo, mi sedetti di nuovo. (Come mai Mister Coombes fosse seduto sulla mia sedia, invece che dall'altra parte della camera, dove era stato per tutta la sera, e perché non si sia neppure sognato di farmi le sue scuse, quando mi sedetti proprio su di lui, e perché il giovane Biffles si sia spacciato per lo zio John e mi abbia indotto, con questa impressione errata, a stringergli la mano per quasi tre minuti e a dirgli che l'avevo sempre considerato come un padre, sono cose che, ancora oggi, non sono mai riuscito a spiegarmi del tutto).

Provarono di dissuadermi da quella che chiamavano la mia impresa temeraria, ma io fui irremovibile e rivendicai il mio privilegio: io ero l'"ospite". "L'ospite" dorme sempre nella camera infestata, la Vigilia di Natale: è di sua competenza.

Risposero che, se la mettevo su quel piano, naturalmente non avevano più niente da replicare; mi accesero una candela e mi accompagnarono di sopra, compatti.

Se era la coscienza di compiere una nobile azione a ubriacarmi, o se invece ero semplicemente animato da una vaga consapevolezza della mia rettitudine, non sta a me dirlo, ma, quella sera, salii di sopra con grande baldanza. Fu già tanto se mi fermai al pianerottolo, quando ci giunsi: sentivo che avrei voluto salire fin sul tetto. Con l'aiuto della ringhiera, però, frenai il mio slancio, augurai la buonanotte, entrai e chiusi la porta.

Le cose cominciarono ad andarmi male fin dall'inizio. La candela cadde dalla bugia prima ancora che avessi ritirato la mano dalla serratura.

Continuò a cadere dalla bugia e, ogni volta che la raccoglievo e la rimettevo a posto, cadeva di nuovo: non ho mai visto una candela tanto scivolosa. Alla fine, rinunciai a tentare di usare la bugia e tenni la candela in mano' ma, anche così, non stava dritta. Allora mi infuriai: la buttai dalla finestra, mi svestii e andai a letto al buio. Non mi addormentai (non avevo per niente sonno): mi sdraiai supino, guardando il soffitto e vagando con il pensiero. Magari mi ricordassi qualcuna delle idee che mi vennero, mentre me ne stavo lì sdraiato: erano così divertenti! Ridevo da solo, tanto che il letto si mise a ballare.

Ero rimasto così sdraiato per circa mezz'ora, e avevo dimenticato completamente il fantasma, quando, lanciando per caso un'occhiata alla camera, notai, per la prima volta, uno spettro dall'aria particolarmente soddisfatta, seduto in poltrona vicino al fuoco, che fumava il fantasma di una lunga pipa d'argilla.

Come sarebbe successo quasi a chiunque, in casi simili, sul momento immaginai che stavo sicuramente sognando. Mi alzai a sedere e mi stropicciai gli occhi.

No! Era chiaramente un fantasma. Potevo vedere lo schienale della poltrona, attraverso il suo corpo. Guardò verso di me, esaminandomi, si tolse dalle labbra la pipa fantasma e fece un cenno con la testa.

Per me, la parte più sorprendente di tutta la faccenda fu che non mi sentivo per nulla turbato. Anzi, piuttosto, mi faceva piacere vederlo.

Era una compagnia.

Dissi: - Buonasera! E' stata una giornata fredda!

Rispose che, personalmente, non l'aveva notato, ma pensava che fosse vero.

Restammo in silenzio per qualche secondo, poi, cercando di essere diplomatico, dissi: - Se non sbaglio, ho l'onore di parlare con il fantasma del signore che ebbe quell'incidente con il cantante.

Sorrise, e disse che ero molto buono a ricordarlo. Un cantante non era molto di cui vantarsi, ma, comunque, tutto fa brodo.

Fui parecchio sconcertato da questa risposta. Mi ero aspettato un gemito di rimorso. Al contrario, il fantasma pareva piuttosto orgoglioso della cosa. Pensai che, visto che aveva preso così bene il mio accenno al cantante, forse non si sarebbe offeso se lo avessi interrogato sul suonatore di organetto. Quel povero ragazzo mi incuriosiva.

- E' vero - chiesi, - che c'era il suo zampino nella morte di quel contadinello italiano che, una volta, venne in città con un organetto che non suonava altro che arie scozzesi?

Si arrabbiò per davvero: - Il mio zampino! - esclamò, indignato. - Chi ha osato pretendere di avermi aiutato? Il giovanotto l'ho ucciso da solo. Nessuno mi ha aiutato. Da solo, l'ho fatto. Mi faccia vedere l'uomo che dice il contrario.

Lo calmai. Gli assicurai che, personalmente, non avevo mai dubitato che egli fosse l'unico, vero assassino e continuai chiedendogli cosa avesse fatto con il corpo del suonatore di cornetta che aveva ucciso.

Chiese: - A quale si riferisce?

- Oh, allora erano più d'uno? - mi informai.

Sorrise, e tossì leggermente. Disse che non voleva dare l'impressione di vantarsi, ma che, contando i tromboni, erano sette.

- Povero me! - replicai -. Deve aver avuto un gran daffare, tutto considerato.

Disse che, forse, non spettava a lui dirlo, ma, in realtà, pensava che ci fossero pochi fantasmi, almeno nell'ambito della comune società borghese, che potevano guardarsi indietro e affermare che la propria vita era stata di più comprovata utilità.

Tirò qualche boccata, in silenzio, per alcuni secondi, mentre io restavo a osservarlo. Che ricordassi, non avevo mai visto un fantasma che fumava la pipa, e la cosa suscitava il mio interesse.

Gli chiesi che tabacco usava e rispose. - Di regola, fantasma di Cavendish tagliato.

Spiegò che il fantasma di tutto il tabacco che un uomo aveva fumato, durante la vita, gli apparteneva, una volta morto. Disse che, personalmente, aveva fumato un bel po' di Cavendish tagliato, quand'era vivo; perciò, adesso, aveva una buona scorta di tabacco fantasma.

Osservai che quella era una cosa utile da sapere e decisi di fumare più tabacco che potevo, prima di morire.

Pensai che potevo anche cominciare subito, così gli dissi che gli avrei fatto compagnia con una pipatina, e lui fece: - Vai, vecchio! - e io mi allungai, tirai fuori gli arnesi necessari dalla tasca della giacca e accesi.

E così facemmo amicizia e mi raccontò tutti i suoi crimini. Disse che, una volta, aveva vissuto porta a porta con una signorina che stava imparando a suonare la chitarra, mentre, di fronte, abitava un signore che si esercitava alla viola da gamba. E lui, con astuzia diabolica, aveva fatto conoscere questi due ingenui giovani e li aveva convinti a fuggire insieme, contro la volontà dei genitori, e a portare con loro gli strumenti musicali: quelli lo avevano fatto e, prima che fosse finita la luna di miele, "lei" gli aveva rotto la testa con la viola da gamba e "lui" aveva cercato di ficcarle in gola la chitarra e l'aveva storpiata per tutta la vita.

Il mio amico mi disse che aveva l'abitudine di attirare nell'atrio i venditori di focaccine, e poi di ingozzarli della loro stessa merce, finché, in quel modo, ne aveva azzittiti diciotto.

I giovanotti e le signorine che recitavano poesie lunghe e tristi alle riunioni serali e i giovanotti imberbi che se ne andavano a spasso per le strade, la sera tardi, suonando la fisarmonica, li avvelenava a gruppi di dieci, per risparmiare sulle spese, e gli oratori pubblici e i conferenzieri che predicavano la temperanza li chiudeva in sei in una stanzetta, con un bicchiere d'acqua e una cassetta delle elemosine per uno, e lasciava che, a furia di parlare, si facessero fuori a vicenda.

Faceva bene ascoltarlo. Gli chiesi per quando aspettava gli altri fantasmi, i fantasmi del cantante e del suonatore di cornetta e della banda musicale tedesca, di cui aveva detto lo zio John. Sorrise e disse che non sarebbero più tornati, nessuno di loro.

Chiesi: - Come, non è vero allora che vi incontrate qui, ogni anno, la Vigilia di Natale, per una bella rissa?

Replicò che una volta era così. Per venticinque anni, la Vigilia di Natale, avevano lottato in quella stanza, ma non avrebbero più importunato né lui, né nessun altro. Uno per uno, li aveva sistemati, distrutti, resi assolutamente incapaci di infestare. Aveva spacciato l'ultimo fantasma della banda tedesca proprio quella sera, subito prima che salissi io, e aveva buttato quel che ne restava fuori dalla finestra, attraverso la fessura del telaio. Disse che non avrebbero mai più meritato il nome di fantasma.

- Suppongo che tu continuerai a venire, come al solito - dissi. - So che dispiacerebbe a tutti perderti.
- Oh, non lo so - replicò. - C'è poco o nulla che mi attragga, adesso. A meno che - aggiunse gentilmente, - non ci sia "tu". Verrò, se dormirai qui, la prossima Vigilia di Natale.
- Ti ho preso in simpatia- continuò,- tu non scappi via strillando, quando vedi un tizio, e non ti si drizzano i capelli sulla testa. Non hai idea - disse, - di quanto sia stufo di vedere gente con i capelli dritti in testa.

Disse che gli dava sui nervi.
Proprio allora, ci arrivò un leggero rumore dal cortile e lui sobbalzò diventando mortalmente nero.
- Tu stai male - esclamai balzando verso di lui, - dimmi che devo fare. Devo bere un po' di brandy, e dartene il fantasma?

Rimase in silenzio, ascoltando attentamente, per un attimo; poi esalò un sospiro di sollievo e l'ombra gli tornò sulle guance.

- Tutto a posto - mormorò, - avevo paura che fosse il gallo.
- Oh, ma è troppo presto - dissi. - Che diamine, siamo solo a metà della notte.
- Oh, questo non fa nessuna differenza, per quei maledetti gallinacci - replicò amaramente. - Canterebbero a metà della notte, o in qualsiasi altro momento; anzi, canterebbero prima, se sapessero di rovinare a un tizio la sua serata fuori. Io credo che lo facciano apposta.

Disse che un suo amico, il fantasma di un uomo che aveva ucciso un esattore dell'acqua, aveva l'abitudine di infestare una casa a Long Acre, dove avevano dei volatili nello scantinato e, tutte le volte che un poliziotto si avvicinava e illuminava il locale con la torcia, attraverso la grata, il vecchio gallo pensava che fosse il sole e incominciava a cantare come un matto, e allora, naturalmente, il povero fantasma doveva svanire e, quindi, tornava a casa prestissimo, certe volte anche all'una del mattino, imprecando tremendamente, perché era stato fuori solo un'ora.

Fui d'accordo sul fatto che la cosa sembrava molto sleale.

- Oh, è tutto organizzato in modo assurdo- continuò, piuttosto arrabbiato.- Non riesco a immaginare a cosa stesse pensando il nostro vecchio, quando ha deciso così. Come gli ho detto migliaia di volte, "Fissa un'ora precisa, e che tutti la rispettino: diciamo le quattro, d'estate; le sei, d'inverno. Così, uno saprebbe quello che sta facendo".
- Come fate, quando non c'è un gallo a portata di mano? - mi informai.

Stava di rispondere, quando, di nuovo, sobbalzò e tese l'orecchio.

Questa volta, sentii distintamente il gallo di Mister Bowles, dalla casa vicino, cantare due volte.

- Ecco - disse, alzandosi e allungando una mano a prendere il cappello, - questo è quello che dobbiamo sopportare. Ma che ora è?

Guardai l'orologio e mi accorsi che erano le tre e mezzo.

- Me l'aspettavo- borbottò.- Gli torcerò il collo, a quel maledetto uccello, se lo prendo.

E si preparò ad andarsene.

- Se puoi aspettare mezzo minuto - dissi, alzandomi dal letto, farò un pezzetto di strada con te.

- Sei molto buono- ribatté, arrestandosi,- ma mi pare una cattiveria trascinarti fuori.

- Per niente - replicai. - Mi farà piacere fare una passeggiata. Mi vestii alla meglio, presi l'ombrello, lui mi prese sottobraccio e uscimmo insieme.

Proprio al cancello incontrammo Jones, uno dei poliziotti locali.

- Buonanotte, Jones - dissi (mi sento sempre affabile, a Natale).
- Buonanotte, signore - rispose l'uomo, un po' sgarbatamente, pensai.
- Posso chiederle cosa sta facendo?
- Oh, è tutto a posto - risposi, agitando l'ombrello; - sto solo accompagnando un mio amico per un pezzo di strada.
- Quale amico? - chiese.
- Oh, ah, naturalmente - risi; - dimenticavo. Per lei, è invisibile.

E' il fantasma del signore che uccise il cantante. Arrivo giusto fino all'angolo con lui.

- Ah, non credo che io lo farei se fossi in lei, signore- disse Jones, severamente. - Se vuole accettare il mio consiglio, saluti qui il suo amico e torni dentro. Forse non si è reso conto che sta andando in giro con addosso soltanto una camicia da notte, un paio di stivali e un "gibus". Dove sono i suoi pantaloni?

I modi di quell'uomo non mi piacquero per niente. Dissi: - Jones! Non voglio farle rapporto, ma mi sembra che abbia bevuto. I miei pantaloni sono dove dovrebbero essere i pantaloni di ogni uomo: alle sue gambe.

Ricordo esattamente di averli messi.

- Bene, adesso non li ha - ribatté.
- Scusi - replicai, - le dico che li ho. Credo che dovrei saperlo.
- Lo credo anch'io - rispose, - ma, evidentemente, non è così.

Adesso lei viene dentro con me, e che non se ne parli più.

A questo punto, zio John si fece sulla porta, svegliato, immagino, dall'alterco e, nello stesso momento, zia Mary comparve alla finestra, in cuffia da notte.

Spiegai loro l'errore del poliziotto, cercando di non dar peso alla faccenda, per non mettere nei guai quel tizio, e mi girai verso il fantasma perché confermasse le mie parole.

Se n'era andato! Mi aveva lasciato senza una parola, senza neppure salutarmi!

Che se ne fosse andato in quel modo mi colpì come una scortesia così grande che scoppiai in lacrime e zio John mi riportò a casa.

Arrivato nella mia stanza, scoprii che Jones aveva ragione. Non avevo messo i pantaloni, dopotutto. Erano ancora appesi alla spalliera del letto. Immagino di averli dimenticati, nell'ansia di non far aspettare il fantasma.

Questi sono i fatti nudi e crudi e da questi, indubbiamente, a un animo retto e caritatevole sembrerà impossibile che possano essere nate delle calunnie.

Me ne nacquero.

Delle persone (dico "persone") hanno affermato di non riuscire a capire le semplici circostanze fin qui raccontate, se non alla luce di spiegazioni ingannevoli e offensive. Sono stato denigrato e calunniato da quelli della mia stessa carne e del mio stesso sangue. Ma io non porto rancore. Semplicemente, come ho detto, faccio conoscere la mia versione, per riscattare la mia reputazione da sospetti insultanti.