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Il nontiscordardime, messaggero d'amore.


Un tempo, in un regno prospero e felice, la giovane Daina abitava con la madre ormai vecchia in una piccola capanna dipinta di bianco, sul limitare di un campo di grano, vicino ad un ruscello che scorreva gioioso, alla quieta ombra di alberi secolari. Era bello in inverno, coi severi alberi spogli, i rami immobili contro il cielo grigio e i bruni campi silenziosi dove volavano pigramente i corvi dalle nere, lucide ali. Ed era bello in estate, sotto le fresche foglie luccicanti dove tubavano le colombe innamorate l'una dell'altra, accompagnando con il loro linguaggio d'amore il lieto scorrere del torrente d'argento.

Le donne andavano a riempire di purissima acqua i loro secchi in quel luogo incantato, ed i viandanti si sedevano per riposare e parlare con Daina, flessuosa, dolce e paziente come l'animale di cui portava il nome.

Ella lavorava filando alla rocca tessuti leggeri e preziosi per le ricche signore del regno e sognava, filando, i suoi sogni, il bel viso piegato sotto il peso dei lunghi capelli neri, raccolti sul capo in una treccia splendida, degna di una regina, i grandi occhi liquidi e scuri levati talvolta ad osservare fiduciosi chi voleva fermarsi a parlare con lei.

Un giorno, uno dei viandanti la informò che il Nobile Signore, padrone del regno, stava visitando tutte le terre che gli appartenevano, e quindi certo sarebbe giunto anche lì.

Turbata - senza nemmeno ben capirne la ragione - per la prima volta nella sua breve, placida vita, Daina corse dalla madre, per chiedere alla saggezza di lei quale mai vestito dovesse indossare per rendere omaggio al loro Signore. Quanto ai gioielli, la scelta era obbligata. Daina e la madre erano molto povere, vivevano del lavoro della fanciulla, e non possedevano che la piccola capanna bianca dove vivevano ed uno splendido gioiello, un grande zaffiro che racchiudeva in sé tutti i tenui bagliori del cielo, incastonato in una montatura degna di un re.

Quello zaffiro era appartenuto ad un possente signore del regno, che in anni ormai lontani aveva amato la madre di Daina, bella allora come ora la figlia, e poi l'aveva abbandonata, lasciandole in dono la piccola e quel gioiello prezioso.

La madre, sgomenta per il turbamento della figlia, pregò in silenzio perché la storia non si ripetesse, perché alla fanciulla così ignara fossero risparmiati il dolore dell'abbandono e del disinganno, le lacrime dello struggimento e della solitudine, ma ben sapendo che ogni cosa è già scritta, aiutò comunque la sua bella figlia ad acconciare i lunghi capelli neri e ad indossare un abito bianco come l'alba del mattino, fermandole sul seno il gioiello azzurro colore del cielo.

Finalmente il Nobile Signore passò davanti alla piccola casa di Daina, che attendeva tremando, ma, anche se vide la graziosa capanna dipinta di bianco, la giudicò troppo piccola per prestarle attenzione e passò oltre senza badare alla bellezza di quell'angolo fatato; era estate, ma preso dai gravi pensieri del suo regno, egli non vide le lucide foglie dei grandi alberi, non udì il richiamo amoroso dei colombi innamorati, non fu attratto dal fresco gorgoglio del ruscello d'argento.

Daina però non poteva tollerare il pensiero di non aver reso alcun omaggio al suo Signore.

E così, in un gesto dettato da inconsapevole orgoglio, poiché anche nelle sue vene scorreva nobile sangue, e dalla delusione di un'inconfessata speranza, lanciò verso il Principe il suo prezioso gioiello di cielo.

Indifferente, il Principe passò col suo cavallo là dove il gioiello era caduto, e dietro a lui gli infiniti zoccoli dei cavalli di tutto il suo seguito numeroso. E il bello zaffiro si frantumò in numerose piccole schegge di luce azzurra, che riflettevano il sole.

Fu una dea pietosa che passava di lì a trasformare quelle schegge in migliaia di piccoli fiori azzurri, cui venne dato il nome di "non ti scordar di me" perché il ricordo del gesto orgoglioso e gentile della piccola Daina non andasse del tutto perduto.

Curiosità
Edoardo VIII, nel 1936, in un secolo dunque apparentemente privo di fiabe, rinunciò al trono di Inghilterra, assumendo il titolo di duca di Windsor, gettando così ben più che un monile di zaffiro ai piedi della donna che amava. La rinuncia al trono era infatti l'unico mezzo per rendere possibili l'anno successivo le nozze con l'americana, due volte divorziata, Wallis Simpson, che, a differenza del principe della fiaba, si chinò a raccogliere il dono.
Il duca volle che nel giorno delle nozze i "non ti scordar di me" decorassero a migliaia la loro abitazione, e che l'abito della sposa avesse quella particolare tonalità di chiaro azzurro che mostrano i petali del fiore sacro all'amore.