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Le avventure di Thach Sanh


Thach Sanh era nato in un piccolo villaggio della provincia di Cao Bang. Orfano di entrambi i genitori, viveva poveramente facendo il boscaiolo.
Un giorno un mercante di alcool, di nome Ly Thong, lo vide al lavoro e notando la sua laboriosità e la forza che dimostrava nel lavoro lo invitò a vivere con lui e Thach Sanh fu ben lieto di accettare.
A quel tempo la foresta era infestata da un mostro terribile che si cibava di carne umana. Il re aveva inviato invano i suoi guerrieri perché cercassero di ucciderlo ma nessuno era riuscito nell’impresa e anzi il mostro aveva imposto che gli si costruisse un tempio e che ogni anno gli venisse sacrificato un giovane.
Pertanto ogni anno il re era costretto a scegliere un giovane da inviare al tempio per il sacrificio e quell’anno la sorte cadde su Ly Thong.
Tornato a casa Ly Thong non sapeva che fare. Non poteva disobbedire all’ordine del re perché se lo avesse fatto sarebbe stato messo a morte ma andare al tempio comportava la stessa tragica fine.
A casa non disse nulla di queste sue angosce ma poiché piangeva ed era triste. Thach Sanh gli chiese quale mai fosse la ragione.
A Ly Thong venne allora in mente che al suo posto avrebbe potuto mandare proprio Thach Sanh. “Vedi”, disse, “sono triste perché il re mi ha ordinato di andare a fare un turno di guardia al tempio, sai, niente di pericoloso, ma io non posso andarci perché proprio in questi giorni devo distillare il mio alcool, e se non lo faccio perdo tutto il lavoro dell’anno. “Ma forse”, aggiunse, “se tu volessi potresti aiutarmi”. “E come?”, chiese l’ingenuo Thach Sanh, “dimmelo, e ti aiuterò volentieri”. “E’ semplice”, disse allora Ly Thong, “potresti andare tu al mio posto e a tutti diremmo che sono andato io”.
“Va bene”, disse Thach Sanh, “con tutto quello che tu hai fatto per me, è il minimo che io possa fare”. E così, il giorno convenuto Thach Sanh si avviò verso il tempio. Era giunto da poco tempo quando dall’interno della foresta sentì giungere un gran fracasso e un vento spaventoso che scosse gli alberi intorno. L’aria si fece di gelo e infine apparve il mostro.
Era enorme, orribile, con fauci che sputavano fuoco. Si guardava intorno annusando l’aria e infine, fissati i suoi occhi di brace sul ragazzo, immediatamente si gettò su di lui per divorarlo. Ma Thach Sanh lo schivò, raccolse un bastone e glielo gettò tra le zampe facendolo ruzzolare per terra, poi prese il coltello e glielo conficcò nel collo; infine con l’ascia cominciò a picchiare finché non riuscì a tagliargli la testa. Passata la notte tornò a casa portando con sé la testa recisa del mostro e raccontò l’accaduto.
Ly Thong allora escogitò un altro tranello. Pensò infatti che avrebbe potuto vantarsi davanti al re d’essere stato lui a uccidere il mostro, ricevendone certo grandi benefici.
“Cosa hai mai fatto!”, disse a Thach San. “Quel mostro era un parente del re e gli era molto caro, adesso non so proprio cosa potrà succederti. Sicuramente si vorrà vendicare. Ti ucciderà. Scappa dunque, vai lontano da qui e lascia che parli io con lui, cercherò se mi è possibile di sistemare la cosa”.
Thach Sanh scappò nella foresta e Ly Thong, presa la testa del drago, si recò dal re dichiarando di essere stato lui a uccidere il mostro e il re, riconoscente, gli affidò un importante incarico a corte consentendogli una vita agiata.
Thach Sanh invece fu costretto a tornare alla sua umile vita di boscaiolo.
Dopo la morte del mostro la vita nel villaggio trascorse tranquilla. Il re era soddisfatto tanto più che si era messo in testa che ormai la figlia, la bellissima Quynh Nga, aveva raggiunto l’età nella quale avrebbe dovuto prendere marito.

Ma un giorno, mentre la fanciulla passeggiava nel giardino, un’ombra nera apparve all’orizzonte e oscurò il cielo. Un’aquila enorme si abbatté tra le ancelle, artigliò Quynh Nga e ripartì velocissima verso la foresta.
Seduto sulla soglia della sua capanna, Thach Sanh vide l’aquila passare alta nel cielo e preso l’arco le scagliò contro una freccia che la colpì. L’aquila ferita faticava a volare e scese verso terra andando a ripararsi all’interno di una caverna, scomparendo in tal modo alla vista.
Intanto il re, saputo del rapimento della principessa sprofondò in un cupo dolore, fece chiamare Ly Thong e gli ordinò di cercare la figlia in ogni parte del mondo, “...e quando l’avrai trovata”, aggiunse, “darò a te la sua mano e anche il mio regno”.
Ly Thong fu naturalmente lieto dell’incarico e si apprestò a organizzare la ricerca. Giunse in quel momento Thach Sanh che, sentito del rapimento, capì subito che l’aquila che aveva ferito era proprio quella che aveva operato il misfatto.
Raccontò tutto a Ly Thong e disse che avrebbe saputo condurlo sulle tracce dell’aquila. “Se la troverò”, disse Ly Thong, “ne avrai certo onori e vantaggi”.
Partirono e dopo una lunga marcia nella foresta giunsero in vista della caverna. Dall’interno giungevano grida di un animale ferito e i pianti strazianti di Quynh Nga.
La caverna era molto profonda e vi poteva passare un solo uomo. “Vado io per primo”, disse Thach Sanh. “Prendo la principessa e quando l’avrò assicurata a una fune la passerò a voi, poi voi mi getterete ancora la fune per permettermi di risalire”.
Così fecero. Thach Sanh si calò nella caverna, uccise l’aquila e trovò la principessa che commossa gli manifestò tutta la sua riconoscenza. “Mio signore”, disse piangendo, “come potrò mai sdebitarmi per il vostro aiuto e per il vostro coraggio?” e aggiunse che una volta tornata alla reggia del padre avrebbe richiesto al re che fosse lui l’uomo destinato a prenderla in moglie e nessun altro.
“Sono addolorato”, disse Thach Sanh, “ma non mi sarà possibile accettare la vostra proposta. Il fatto è che io sono qui per incarico di Ly Thong e del re vostro padre e se acconsentissi, tradirei la loro fiducia”.
“Non temete”, disse allora Quynh Nga, “vedrete che saprò convincere mio padre ad accettare la mia volontà”.
Intanto Thach Sanh assicurò la principessa alla fune e poi lanciò il segnale così che da sopra la poterono issare riportandola all’aperto.
“Andate pure”, disse allora Ly Thong alla scorta, “riportate voi la principessa a suo padre, io voglio vedere quanto è profonda la caverna e aiutare Thach Sanh a risalire”.
La scorta se ne andò ma Ly Thong considerando quale pericoloso rivale fosse Thach Sanh, pensò che avrebbe fatto meglio a ucciderlo. Prese una grossa pietra e con quella chiuse l’imboccatura della caverna. Poi tornò a palazzo e annunciò al re il ritrovamento della principessa e l’uccisione dell’aquila.
Il re entusiasta voleva mantenere la sua promessa concedendo a Ly Thong la mano della figlia. Questa tuttavia non ne voleva sapere. Cadde in una profonda prostrazione ed era ormai al limite della sopravvivenza.
Intanto Thach Sanh, aiutato dall’Imperatore di Giada, che abita al centro del cielo, era riuscito a fuggire dalla caverna ed era ritornato alla sua povera casa nella foresta.
Ed ecco che lo spirito dell’aquila cominciò a vagare senza pace per la foresta dove incontrò lo spirito del drago pure ucciso da Thach Sanh. I due, che odiavano Thach Sanh, si misero d’accordo ed escogitarono la loro vendetta.
“Se riusciamo a rubare i gioielli dalla stanza del tesoro del re e li nascondiamo nella capanna di Thach Sanh, e poi andiamo a denunciarlo come autore del furto”, convennero, “certo le guardie del re lo imprigioneranno e il re lo condannerà a morte”. E così infatti fecero.
Rubarono alcuni dei più bei gioielli del re e li nascosero della capanna di Thach Sanh e poi chiamarono le guardie.
Le guardie vennero e trovarono i gioielli. Arrestarono Thach Sanh e lo condussero incatenato a palazzo gettandolo nella più oscura cella del castello.
L’unico spiraglio di libertà per il prigioniero era ormai diventato il suo canto. Un canto triste e desolato perché sapeva che presto, pur innocente, sarebbe stato condannato a morte. La sua voce malinconica si innalzava la sera in canti mesti e pieni di nostalgia. Fu allora che dalla sua stanza, la principessa Quynh Nga, anch’essa pervasa da tristezza, lo sentì e riconobbe la voce del suo salvatore. Subito corse dal re suo padre. “è la voce del mio salvatore, padre mio, è quella di Thach Sanh, ne sono sicura, è lui che mi ha salvato, ed è a lui solo che io andrò sposa”.
Il re incredulo fece chiamare il giovane e quando vide la figlia gettarsi tra le sue braccia, ne fu commosso. Si fece raccontare tutta la storia, della povertà, del drago, dell’aquila e della malignità di Ly Thong, che subito fece chiamare e gettare in prigione, e acconsentì infine alle nozze dei due giovani.
Il re diede poi a Thach Sanh il compito di giudicare Ly Thong e condannarlo secondo il suo intendimento; ma Thach Sanh si limitò a scacciarlo dalla reggia intimandogli di andarsene nella foresta. Ly Thong partì ma sulla strada fu sorpreso da una violenta tempesta e fu ucciso da un fulmine. Il suo spirito si reincarnò in uno scarafaggio.