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I tre musicanti


C’erano una volta tre musicanti che sonavano il violino, il flauto e la tromba, e giravano di paese in paese a sonare i loro strumenti divertendo la gente. Così guadagnavano un po’ di soldi , e avevano anche spesso l’occasione di stare allegri.
Un giorno arrivarono in un villaggio dove si teneva una festa, e furono subito inviati a parteciparvi per far ballare la compagnia e allietare tutti con le loro musiche. Quando ebbero finito, il padrone di casa li invitò a sedere a tavola con gli altri a mangiare e a bere, e i tre non se lo fecero dire due volte.
Mentre mangiavano chiacchierando coi loro commensali, udirono uno degli ospiti che diceva:
- In mezzo alla foresta c’è un castello incantato dove succedono cose stranissime. È deserto, eppure le finestre sono illuminate le tavole sempre imbandite. Inoltre si dice che là dentro siamo racchiusi tesori immensi.
- E perché nessuno va a prenderli? – chiese uno dei tre.
L’altro lo guardò con gli occhi sgranati.
- Sei matto? – esclamò – ti ho detto che quel castello è incantato e vi hanno preso alloggio spiriti terribili. Chi si è azzardato ad entrare ne è uscito mezzo morto e non ha mai voluto dire che cosa vi avesse veduto. No, no, io penso proprio che sia meglio girare al largo!
Quando furono rientrati nella loro camera alla locanda, dove dormivano tutti e tre insieme, i musicanti incominciarono a discutere animatamente.
- Perché non proviamo? – diceva uno. – Se i tesori esistono davvero, e noi riusciamo a impadronircene, sarebbe la fortuna per tutti e tre.
- D’accordo – replicava un altro. – Proviamo. Ma io proporrei di non andare tutti e tre insieme; tentiamo uno per volta, così abbiamo tre possibilità di riuscita. Incomincerà il più vecchio di noi.
Convenuto così, finalmente si addormentarono.
Il mattino dopo il maggiore dei tre, che suonava il violino, prese il suo strumento e s'avviò da solo in mezzo alla foresta. Giunto proprio nel folto vide finalmente il castello, che era circondato da un muro, aveva torri e fossati, ma il ponte levatoio era abbassato e il portone spalancato come se egli fosse atteso.
Sebbene avesse molta paura, si decise a entrare, ma non appena fu nel cortile il portone si chiuse alle sue spalle con grande fracasso. Allora la paura gli aumentò, ma oramai non poteva più tornare indietro. Perciò andò avanti cautamente guardandosi intorno. Salì un grande scalone di marmo, quindi attraversò una fila di saloni, ma non incontrò anima viva.
Ovunque regnava il più assoluto silenzio.
Finalmente giunse in una cucina dove un bel fuoco scoppiettava nel camino e sulle fiamme era disposta una gratella. Mentre guardava con occhi sgranati, una fetta di carne finissima uscì dalla dispensa e andò direttamente a posarsi sulla gratella. “Il servizio è proprio completo” pensò il giovane. E istintivamente prese ad avviarsi verso una delle sale da pranzo.
Subito mani invisibili stesero sulla tavola una tovaglia candidissima e disposero piatti e posate per due persone. Poi dalla cucina, volando nell’aria, entrarono in processione piatti colmi di cibi prelibati che vennero a posarsi sulla tavola.
Allora il giovane mise lo strumento alla spalla e suonò una delle sue più belle arie: poi disse inchinandosi:
- Buon appetito.
Quindi sedette e incominciò a mangiare. In quel momento una porta si aprì silenziosamente e nella sala entrò un omino piccolissimo, vestito di rosso, con una barba bianca lunga fino ai piedi e una faccina grinzosa. L’omino ricambiò con un cenno l’inchino del giovanotto, poi sedette a tavola senza dire una parola.
Quando si posò sulla tavola il vassoio con l’arrosto, il violinista lo prese e lo presentò gentilmente al vecchietto; questi sorrise e si tagliò una fetta di carne; ma mentre stava per metterla nel patto, la carne gli sfuggì e cadde sotto la tavola. Subito il giovane si chinò per raccoglierla, ma in quel preciso momento l’omino scattò e gli balzò sulla schiena. Con un bastone nocchieruto incominciò a suonare botte da orbi; infine con un poderoso calcio in fondo alle reni lo fece addirittura volare fuori dal castello.
Quando si riebbe, il violinista si rialzò a fatica e, barcollando, raggiunse la locanda.
Al mattino dopo i compagni lo tempestarono di domande, ma egli, ancora indolenzito, si limitò a dire:
- Be, sì qualcosa c’è: qualcosa di duro…ma andate a vedere voi!
La stessa sorte tocco anche al secondo musicante, quello che suonava la tromba.
Infine venne il turno del terzo, che era un flautista. Anch’egli arrivò nel castello e si sedette a tavola. Ma, vista la sorte dei suoi compagni, aveva deciso di star molto attento a quel che faceva.
Venne l’omino e fu servito l’arrosto. Il giovane gli porse il piatto, e quando la fetta di carne dell’omino cadde sotto il tavolo, anch’egli si chinò per raccoglierla, però si accorse della mossa che il vecchietto faceva per saltargli addosso. Allora si voltò di scatto, gli afferrò la barba e la tirò così forte che si stacco e gli rimase in mano. L’omino disperato lo supplicò:
- Ti prego, ridammi la barba! In cambio ti rivelerò ogni incantesimo e sarai ricco e felice.
Ma il giovane, che nello stringere quella barba si sentiva pieno di forze, rispose:
- Prima rivelami gli incantesimi e poi ti darò la barba.
- Vieni con me – disse infine il vecchietto rassegnato, e cominciò a scendere scale strettissime, che si aprivano fra le pareti della roccia, fino a quando non giunsero in una vasta spianata. L’attraversarono e si trovarono sulla sponda di un fiume.
L’omino levò di tasca una bacchetta e con quella toccò le acque, che come per incanto si fermarono a monte, mentre quelle a valle scivolarono via lasciando il fondo asciutto. I due lo attraversarono, e non appena ebbero raggiunta l’altra riva il torrente riprese a scorrere con un terribile scroscio tra mulinelli vorticosi. Dall’altra parte c’era un giardino meraviglioso, talmente bello che il flautista credette di essere nel paradiso terrestre: prati d’erba verdissima, ruscelli dove guizzavano pesci rossi, dorati, argentei; dappertutto fiori, uccelli dalle penne d’oro, farfalle multicolori, percolatati, siepi fiorite.
Gli uccelli trillavano festosamente, le farfalle gli svolazzavano intorno come per dargli il benvenuto.
Il giovane cercava di persuadersi che non stava sognando, e seguiva sempre il vecchietto, il quale si diresse verso un grande e magnifico castello che sorgeva proprio in mezzo al giardino. Entrarono e anche qui attraversarono saloni sfarzosi e ammobiliati splendidamente, ma tutti deserti e silenziosi.
Infine giunsero in una camera dove, proprio nel centro, stava un grande letto con le cortine abbassate.
L’omino le sollevò e il flautista vide una fanciulla bella come un angelo, ma immersa in un sonno profondo come la morte. Era vestita di bianco e aveva i capelli neri sciolti sulle spalle. Accanto a lei, in una gabbietta, trillava un uccellino, ed era questo l’unico segno di vita in quel silenzio pauroso.
- Ecco – disse l’omino – questa è una principessa che con un incantesimo ho fatto addormentare così. Il castello e il giardino le appartengono, ma non potrà goderli fino a quando non si sveglierà. E non si sveglia da secoli, perché nessuno, fino ad oggi, era riuscito a trovare la strada per giungere fin qui. C’ero io, che facevo buona guardia! Non appena qualche importuno si avvicinava e ardiva entrare in casa mia, lo accoglievo a bastonate e poi lo buttavo fuori. La barba mi dava tanta forza che sarei riuscito a picchiare anche un gigante. Ma adesso tu me l’ hai strappata e io non posso nulla contro di te. Devo cederti tutto: il castello, il giardino, e anche la principessa.
- Va bene, va bene, ma adesso fammi il piacere di svegliarla! – impose il giovane che teneva sempre ben stretta la barba nel pugno.
- Non posso – replicò il vecchietto. – Puoi farlo solo tu. Prendi l’uccellino che sta nella gabbia e strappargli la penna rossa che ha sul petto, proprio sopra il cuore. Poi bruciala, raccogli la cenere e mettila sulle labbra della principessa.
Il giovane fece ciò che gli era stato detto: strappò la penna rossa all’uccellino, la bruciò, e delicatamente mise la cenere sulle labbra della fanciulla addormentata. La principessa sospirò profondamente mentre le sue palpebre palpitavano: infine spalancò gli occhi. Vide il giovane e gli sorrise, poi scese dal letto fresca e vivace.
- Grazie, mio liberatore – disse con una voce musicale. – Tu sarai il mio sposo e da questo momento tutte le mie ricchezze ti appartengono.
- Adesso che tutto è finito bene, ridammi la mia barba! – ingiunse l’omino.
- Riavrai la tua barba, non dubitare – disse – ma soltanto quando ci saluteremo. Io e la principessa ti accompagneremo per un tratto.
Arrivati sulla riva del torrente, il musicante disse:
- Dammi la tua bacchetta, perché debbo dividere le acque per passare.
Il vecchietto scosse la testa. Allora il giovane fece l’atto di gettare la barba nel fiume.
- Ferma, ferma! – gridò il vecchietto disperato. – Tieni!
Il giovane prese la bacchetta e con quella toccò le acque che si aprirono, poi disse:
- Prego, và avanti tu. Ma non appena l’omino fu sull’altra riva, egli toccò di nuovo le acque che ripresero a scorrere.
La disperazione del vecchietto fu immensa: correva sulla riva piangendo e strillando.
Allora il giovane toccò la barba con la bacchetta e la barba volò dall’altra parte. Ma quando l’omino chiese anche la bacchetta rispose:
- Questa la tengo io, così non potrai ripassare il fiume mai più. Tu di là e noi di qua; vedrai che straremo benone.
In quanto agli due musicanti, dopo aver atteso invano il loro compagno, conclusero:
- Ne ha prese troppe e non ha più il coraggio di farsi vedere.