C’erano una volta due vecchi sposini tanto poveri che non possedevano nemmeno una capanna e abitavano in una grossa botte, di quelle che si adoperano per conservare l’aceto.
Avevano aperto nella botte un uscio, una finestrella e anche un buco per far uscire il tubo della stufa; ma trascorrevano le giornate seduti sull’uscio perché in casa c’era troppo buio e troppo odor d’aceto.
- La colpa è tua – rimbrottava la moglie – se siamo costretti a vivere così! Sei infingardo e fannullone, ed è per questo che non abbiamo una casa.
- E tu sei una spendacciona dalle mani bucate! – rimbeccava l’uomo inviperito. –Non hai mai saputo risparmiare un soldo. Ecco perché, adesso che siamo vecchi, viviamo così male come nessun altro nel paese.
Infatti nel villaggio tutti, anche i più poveri, possedevano almeno una capanna, e spesso si facevano beffe dei due, sempre seduti e arrabbiati davanti alla loro botte. Un giorno in cui avevano litigato più del solito e si erano voltati la schiena indispettiti, un uccellino dalle penne d’oro venne a posarsi sul ramo di un albero.
- Ma insomma, - domandò – si può sapere che cosa avete, voi due?
- Siamo stanchi di vivere in una botte – rispose il marito sospirando.
- Vorremo avere una casa come l’ hanno gli altri, ecco!
- Tutto qui? – disse l’uccellino. – Ebbene venite con me.
Incominciò a svolazzare di ramo in ramo e i due vecchi sposi lo seguirono. Giunsero così davanti a una bella casetta nuova circondata da un piccolo giardino.
- E’ vostra – cinguetto l’uccellino. – Spero di vedervi contenti, finalmente. Quando avreste bisogno di me, battete tre volte le mani e chiamatemi: io verrò subito.
E con un trillo giocondo volò via. I due coniugi visitarono la casetta e credettero di sognare: c’erano proprio tutte le comodità: la cucina, il tinello, la cantina e un bel pezzo d’orto.
- Finalmente siamo a posto! – esclamò la moglie felice. – Adesso abbiamo una casa proprio sul serio!
Trascorsero i primi giorni a mettere a posto i mobili e a coltivare l’orticello e il giardino; poi incominciarono a fare qualche passeggiata. Fu così che videro le proprietà dei vicini: grandi tenute con case coloniche, stalle, fienili, macchine agricole. La moglie incominciò a bofonchiare:
- Queste si, che sono proprietà! Il nostro orto fa soltanto ridere. Perché non chiamiamo l’uccellino e gli chiediamo una tenuta?
Detto fatto, batterono le mani tre volte e subito comparve l’uccellino.
- Che cosa volete?
- Vorremo una tenuta, e una casa un po’ più grande di questa – rispose la moglie che aveva più coraggio.
L’uccellino strizzò un occhi, poi disse:
- Va bene, venite con me.
Saltellando di ramo in ramo, li condusse in una grandissima fattoria circondata da campi immensi, ricchi di stalle e di bestiame.
- Spero che così siate finalmente contenti – disse l’uccellino; e volò via.
I due sposi furono contenti per un po’, cioè per il tempo che impiegarono a visitare le loro terre e le quaranta stanze della fattoria. Poi fecero attaccare i cavalli alla carrozza per fare una gita in città. Qui videro palazzi magnifici, ornati di marmi e di cristalli, e ritornarono a casa con l’animo avvelenato.
- Hai visto con quanta eleganza vestivano le signore sedute al caffè? – chiese la moglie rabbiosamente. – Portavano scarpette dorate, e noi gli zoccoli che porto io!
Il marito non rispose, ma anche lui pensava ai gentiluomini da collarino di pizzo e dai polsini fatti di preziosi merletti.
- Chiamiamo l’uccellino? – chiese la moglie ansiosamente.
- Hm! Hm! – rispose il marito. Ne aveva una gran voglia, ma gli sembrava di essere meno colpevole, se lasciava fare tutto alla moglie.
Questa batté le mani tre volte e l’uccellini apparve subito. Aveva l’aspetto imbronciato, e stette ad ascoltare senza far commenti.
- Oh, caro uccellino! – disse la moglie. – Siamo stanchi di vivere in campagna. Dovresti procurarci un bel palazzo in città!
L’uccellino non rispose, ma incominciò a svolazzare di ramo in ramo e i due vecchi lo seguirono. Giunsero così a un magnifico palazzo di marmo che sorgeva proprio nel centro della città. Volò via prima che potessero ringraziarlo, e i due sposi incominciarono a passare in rivista la loro nuova dimora:
- Hai visto che cosa abbiamo ottenuto? – diceva la moglie gonfia d’orgoglio.
Il marito taceva; in cuor suo era soddisfatto, ma non del tutto. Infatti più tardi, andarono a teatro, videro dei cocchi con stemmi e corone dipinti sugli sportelli. Erano i nobili che passavano, sempre accompagnati e seguiti dai loro servi.
- Potremmo essere anche noi nobili come gli altri e anche di più – disse la moglie un giorno. – Perché non chiamiamo l’uccellino?
- Vedrai, moglie mia, che andremo a finir male – bofonchiò il marito: ma la prospettiva di diventare nobile non gli dispiaceva; e non impedì alla moglie di battere le mano tre volte,
l’uccellino venne subito:
- Che cosa volete ancora? – domandò con la voce piena di collera.
- Perché non vi accontentate mai di ciò che avete? – chiese l’uccellino con ira. – Anche quest’altro dono non vi servirà a nulla!
Detto questo sparì e i due sposi si trovarono in un palazzo meraviglioso che aveva uno stemma dipinto ovunque. Al loro passaggio numerosi lacchè si inchinavano profondamente. Felici del nuovo stato, la moglie volle fare un viaggio nel cocchio stemmato fino alla capitale, e cosi i due coniugi videro il palazzo reale. Non appena rincasati, la moglie batté le mani:
- Caro uccellino, vorremo essere re e regina e dopo basterà – disse all’uccellino che aveva le penne più arruffate che mai e gli occhi lampeggianti di sdegno.
La bestiola volò via senza dir parola, ma subito dopo i due sposi si trovarono seduti sul trono, con una corona d’oro sulla testa. Per qualche tempo i due si divertirono a fare i sovrani, a ricevere ambasciate, a passare in rivista i loro soldati tra il suono delle fanfare. Ma la moglie non aveva più limiti alla sua ambizione.
- Più su della regina, c’è l’imperatrice – disse un giorno al marito. – Voglio essere imperatrice. E tu?
- Io…io vorrei essere papa. Il papa vale più degli imperatori – rispose l’uomo.
La moglie fece una smorfia:
- Ebbene, io voglio essere il Signore!
Batté le mani e la finestra si spalancò: ma invece dell’uccellino dorato entrò un grosso uccellaccio dalle ali nere.
- Sono io: non mi riconoscete? – gridò con voce terribile. – Ora basta: tornate ad ammuffire nella vostra botte!
L’uccellaccio sparì, e con lui sparirono la reggia, i lacchè, i cavalli, le carrozze, gli stemmi e ogni cosa.
I due vecchi sposi si trovarono seduti davanti all’uscio della botte, sotto il buco sconquassato della stufa che lanciava sbuffi di fumo nero.