Lo zar e la zarina erano molto felici perché si volevano bene. Ma un brutto giorno, un messaggero venne ad annunciare allo zar che era scoppiata la guerra ed egli dovette balzare a cavallo e partire a gran galoppo verso la lontana capitale. Così la giovane sposa rimase sola nel grande castello.
Trascorsero giorni e giorni e mesi, le stagioni mutarono lentamente: l’erba si colorì di fiori primaverili, i grandi girasoli volsero il capo verso il sole d’estate, il vento d’autunno fece cadere le foglie e ne coprì tutta la terra; e infine, sugli alberi, gli aghi di ghiaccio rifulsero al pallido sole d’inverno.
Fu proprio in una limpida notte d’inverno, in cui tante stelle scintillavano in cielo e tutta la natura taceva come se attendesse qualcosa, che il silenzio del castello fu rotto da un vagito di un bimbo.
Alla zarina era nata una bimba bellissima, dagli occhi turchini come il cielo di quella notte e dalla pelle candida come i cristalli di neve che si posarono sul davanzale della finestra. La zarina si chinò teneramente sulla culla e cantò una dolce ninnananna: ma la gioia era stata troppo grande per il suo cuore di mamma e, quando i primi raggi del sole del mattino illuminarono la sua stanza, ella si addormentò per sempre.
Le campane del castello sonarono a morto, e un messo venne inviato subito nelle lontane terre dove lo zar stava combattendo contro i nemici, per avvisarlo della sciagura che l’aveva così duramente colpito.
Lo zar corse e corse nella notte sul suo nero cavallo; corse senza mai concedersi riposo, più veloce del vento e del fulmine, ma, quando arrivò, la giovane zarina riposava già sotto la neve e la bambina piangeva agitando le manine nella culla di trine.
Così lo zar e la principessa restarono soli nel grande castello in mezzo alla steppa.
Trascorsero gli anni e la bimba cresceva buona e gioiosa e riempiva il castello dei suoi canti. La sera, attorno al fuoco scoppiettante nel cammino, lo zar le raccontava storie fantastiche di maghi, guerrieri ed eroi, e la bimba stava ad ascoltare assorta, sgranando gli occhi e tenendosi il volto tra le mani. Passarono ancora alcuni anni: la bimba crebbe e divenne una fanciulla bella come una Rosellina appena sbocciata, e tutti i principi dei dintorni vennero a chiedere la sua mano. Ella li accoglieva con gentilezza, ma rifiutava di sposarli. Solo il principe Elisseo, il più prode e generoso di tutti, ottenne il suo amore.
Intanto lo zar si sentiva sempre più solo e più triste e un giorno decise di scegliere un’altra sposa. La nuova zarina era una donna molto bella, ma fredda e altera; ella non amava la giovane principessa e cercava ogni mezzo per farla soffrire. A volte, la notte, quando già tutti dormivano, si udiva schiudersi piano piano una porta e si vedeva un’ombra furtiva uscire dalla stanza. Era la zarina! Tutta avvolta nella sua veste da camera, ella camminava con passi felpati fino a una stanzetta isolata in cima alla torre più alta e, qui giunta, accostava silenziosamente l’uscio dietro di sé e ne tirava il catenaccio.
Che faceva mai la malvagia zarina, a quell’ora di notte, in quella parte del castello? Seguitemi in punta di piedi e guardiamo dallo spiraglio della porta. Ecco, la zarina tira una tenda di velluto nero e mette allo scoperto uno specchio grande quando lei, poi fa una solenne riverenza e comincia a cantare questa nenia:
- Dimmi, specchio fatato: al mondo c’è qualcuno che sia bello al par di me?
Guardate! Appena la zarina ha terminato la sua nenia, lo specchio si mette a scintillare come se fosse colpito dai raggi del sole, e una voce, simile al vento nella foresta, risponde cantando:
- Bella tu sei, zarina, bella come una rosa, e del reame intero tu sei la più graziosa.
Allora l’ambiziosa zarina ha un sorriso soddisfatto, fa un’altra riverenza profonda fino ai piedi, ricopre lo specchio con la tenda e riapre la porta della stanza. Silenzio, scappiamo! Avvolta nel rosso mantello, la zarina torna nella sua camera. La tenue luce della candela ch’ella regge in mano scompare dietro la porta e tutto ritorna nel buio.
Tutto era pronto per la festa di nozze tra la principessa ed Elisseo. Lo zar aveva concesso in dote alla figlia cinquanta città e centosessanta castelli. Nelle cucine del maniero, i cuochi erano affaccendati a scovare nuovi manicaretti, nella grande sala i sarti davano gli ultimi ritocchi all’abito da sposa, i messi correvano a briglia sciolta verso i castelli dei dintorni per recare gli inviti ai principi. Tutti aspettavano il gran giorno.
Ma una triste mattina in cui il cielo era coperto di nubi scure e minacciose nessun uccello cantava sugli alberi, la zarina salì ancora nella stanza in cima alla torre, scoperse lo specchio e ripeté la domanda.
- Dimmi, specchio fatato: al mondo c’è qualcuno che sia bello al par di me?
Lo specchio si appannò, un lampo lo attraversò, illuminando per un attimo di una livida luce, poi, in mezzo a uno scroscio di tuoni che squarciavano l’aria, esso cantò così:
- Bella tu sei, zarina, bella come una rosa, ma la principessina è ormai la più graziosa.
A queste parole la zarina divenne verde di rabbia, i suoi occhi mandarono scintille e un urlo così stridulo le uscì dalla bocca che la sua cameriera, Dorina, che attendeva nella camera accanto, si precipitò da lei tutta spaventata. Vi assicuro che non era affatto bella in quel momento la zarina!
- Dorina, - ella gridò – porta immediatamente la principessa nel più folto del bosco, legala a un albero e abbandonala; così questa notte, i lupi verranno e la sbraneranno.
La povera ancella si buttò in ginocchio e pianse e supplicò finché il pavimento fu inondato di lacrime; ma la zarina fu irremovibile. Dorina dovette recarsi dalla principessa, che stava provandosi il suo meraviglioso abito da sposa.
- Principessa, - le disse, trattenendo a stento le lacrime – vuoi venire con me nel bosco a cogliere un mazzolino di fiori per adornare domani i tuoi capelli biondi?
La fanciulla acconsentì con entusiasmo, discese le scale del castello e s’inoltrò nel prato cantando gaiamente. Percorse danzando un lungo tratto di strada, senza accorgersi del tempo che passava. Ma, a un tratto, s’avvide che il sole era scomparso all’orizzonte e che lunghe ombre scure s’annidavano ai piedi degli alberi e più nessun uccello cantava tra i cespugli. Allora si volse per interrogare la fedele ancella e vide che lacrime silenziose le rigavano il volto. Stretta da un’angoscia improvvisa, la principessa si getto tra le braccia della donna, supplicando:
- Dimmi, Dorina, ti prego, che vuoi fare di me? Perché piangi così? Che hai?
- La malvagia zarina mi ha dato ordine di legarti a un albero e di farti sbranare dai lupi, principessa – singhiozzò la donna . – ma il mio cuore si spezza a questo pensiero.
- Non farlo, Dorina, non farlo! Abbi pietà di me!
- Come posso disubbidire alla zarina, principessa? Senza dubbio mi ucciderebbe!
- Lasciami andare libera per il bosco. Ti prometto che non tornerò mai più al castello. Nessuno mi vedrà più, Dorina…potresti raccontare che un lupo mi ha sbranata sulla via del ritorno.
- Si, farò così, principessa. E tu vai e che il cielo ti assista!
- Grazie, Dorina. Addio!
E la fanciulla s’inoltrò sola, per il sentiero del bosco. Già da tempo le ombre della sera erano scese sul castello.
- Che cos’è successo alla principessa? – si sussurravano gli invitati.
Lo zar e il principe si guardavano smarriti. La zarina volgeva lo sguardo inquieto verso il ponte levatoio. A un tratto echeggiò un urlo e una donna avanzò correndo dal bosco. Era Dorina!
- E’ scomparsa! E’ scomparsa! – ella gridò. – La mia povera principessa è scomparsa nella foresta! A quest’ora ormai i lupi l’avranno divorata!
Un mormorio d’orrore si levò tra gli invitati; poi mille e mille fiaccole si sparsero tra gli alberi alla ricerca della principessa. Una scura figura balzò a cavallo e scomparve nell’oscurità della notte. Era il principe Elisseo che andava a cercare la sua dolce fidanzata.
La principessa errò senza meta finché tutto il bosco fu immerso nel buio: solo un piccolo raggio di luna continuò a illuminare il sentiero ed ella corse e corse, mentre gli alberi sembravano stringersi attorno a lei in un groviglio di braccia tese e minacciose. Una paura terribile le mozzò il respiro. Dove mai avrebbe trovato rifugio per la notte? Chi l’avrebbe difesa dagli assalti delle belve?
Ma ecco, laggiù in fondo in fondo, un lumino brillare nell’oscurità della notte. Che cosa sarà mai? Forse la fiaccola di qualche buon eremita che vive assorto in preghiera? La principessa riprese animo e si incamminò verso quella tenue luce. Ogni tanto doveva fermarsi un poco, vinta dalla stanchezza. Via , via che si avvicinava al lume sempre più nitida, tra il fitto fogliame, si delineava la forma di una piccola casa. La principessa si fece coraggio, allungò il passo, e poco dopo si trovò davanti a una casetta di legno, in mezzo agli alberi, con una lanterna accesa sulla soglia. La fanciulla bussò leggermente, ma nessuno venne ad aprire. Allora si fece coraggio, spinse l’uscio ed entrò. Nessuno le si fece incontro. La casa era immersa nel silenzio. Un raggio di luna illuminava una grande stufa di cotto decorata con complicati fregi e una lunga tavola di quercia apparecchiata per sette persone.
” Che cosa debbo fare? “ pensò la fanciulla. “ Se ritorno nel bosco i lupi mi divoreranno in un attimo! Mi conviene fermarmi qui.”
Si sedette su una panca e si guardò attorno. “ I padroni della casetta hanno apparecchiato la tavola: certamente hanno intenzione di ritornare per la cena. Ma che disordine! Forse, invece di star qui a far niente potrei cercare di rendermi utile in qualche modo”.
Così pensando la principessa si alzò, riassettò la stanza, attizzò le braci sopite nel caminetto, accese i lumini sotto le immagini sacre, poi salì una scaletta di legno e si trovò in una piccola stanza sotto il tetto, con un giaciglio di paglia per terra. Si sdraiò sulla paglia ed era così stanca che s’addormentò immediatamente.
Era trascorso poco tempo quando uno scalpitio e un suono confuso di voci la fecero balzare in piedi, spaventata. Chi mai si stava avvicinando alla casa? Doveva fuggire! E in tutta fretta anche! Si lanciò verso la porta, l’aperse e … sette giovani gagliardi e vigorosi le stavano davanti, ai piedi della scala, e la guardavano con occhi spalancati per la meraviglia! Dovevano essere i padroni della cassetta e adesso, che avrebbero detto vedendola lì? La principessa fece una riverenza e disse:
- Buona sera, signori. Mi sono persa nel bosco e, vedendo da lontano la luce della vostra casetta, vi sono entrata in cerca di rifugio. Ma ora vi tolgo il disturbo; scusatemi me ne torno subito nella foresta.
E la fanciulla fece per scivolare via. Ma un mormorio di protesta la fermò sulla soglia.
- Non andartene, fanciulla; resta con noi – le disse il più alto dei sette. – sarai la nostra amata sorellina. Ci terrai in ordine la casa mentre saremo a caccia e noi ti difenderemo da ogni pericolo.
- Grazie, signori – rispose la fanciulla con gioia. – Sono felice di diventare la vostra sorellina e di accudire alla vostra casa e vi ringrazio di cuore.
E così, da quel giorno, tutte le mattine la principessa salutava dalla soglia i sette cavalieri che partivano per la caccia e poi si occupava gaiamente delle faccende domestiche: scopava, spolverava, lavava, accendeva il fuoco. Si recava quindi nel bosco a cogliere fragole e roselline selvatiche per adornare la tavola. Gli uccellini e gli scoiattoli le tenevano compagnia e venivano a prendere il cibo dalle sue mani. La fanciulla amava la vita del bosco. Ma, a volte, il suo pensiero correva al castello lontano, al padre, al fidanzato che l’attendevano, e il suo viso diventava triste e malinconico.
Nel castello lontano, intanto, la zarina viveva sicura della vittoria e orgogliosa della sua bellezza. Ma un giorno, desiderosa di sentir lodare il suo aspetto, ella decise di interrogare ancora una volta lo specchio magico. Si allontanò in tutta fretta in punta di piedi, camminando leggiera sui morbidi tappeti e salì rapida i mille gradini che conducevano alla stanza della torre. Lo specchio era sempre là, coperto dal drappo nero. Con un certo timore la regina si avvicinò e lo scoperse, stappando la tela con un colpo deciso. La stanza parve percorsa da un freddo alito di vento. La regina cominciò a rabbrividire e trovò appena il coraggio di balbettare la solita formula:
- Dimmi specchio fatato: al mondo c’è qualcuno che sia bello al par di me?
Lo specchio magico ebbe un rapido balenio, come una risata trattenuta a stento, poi rispose con voce chiara e distinta:
- Bella tu sei, zarina, bella come una rosa, ma nel folto bosco i sette cavalieri con le spade difendono, sempre gagliardi e fieri, la dolce principessa, che è ancora la più graziosa.
Ahhh!!! Per la gran rabbia la zarina si torse le mani, gemendo e lamentandosi. Imprecazioni di rabbia le salivano alle labbra; ormai non aveva più l’aspetto di una regina e il suo volto sembrava quello di una malefica strega. “ Quella disgraziata la sa più lunga di me! “ sospirava. “ Certo qualcuno l’ ha iniziata all’arte della magia, oppure una strega più potente di me l’aiuta a sventare le mie insidie. Ma questa volta non riuscirà più a evitare la morte “.
Poi corse in camera sua a meditare la vendetta e … e, poche ore dopo, una connetta decrepita, con il viso nascosto da un’enorme cuffia, si presentava al cancello dalla casetta dei sette cavalieri. Non appena la scorse, il cane di guardia le si avventò contro, abbaiando furiosamente.
- Sokolka, Sokolka, vieni subito qua! – lo richiamò la principessa, che stava cucendo vicino alla finestra.
Ma il cane continuò ad abbaiare, ringhiando e digrignando i denti contro la vecchietta impaurita. Sembrava che presentisse un pericolo e che volesse difendere la principessa.
- Sokolka, ma che cosa ti succede? Vieni qua, dunque! – gridò ancora una volta la fanciulla, uscendo sulla soglia.
Il cane le corse incontro abbaiando, come se volesse avvisarla di un pericolo. Solo allora la principessa si accorse della vecchietta.
- Che volete, nonnina? – le chiese gentilmente. – Certamente venite da lontano: avete bisogno di qualcosa?
- Di nulla, graziosa fanciulla – rispose la donnina. – Volevo regalarti questa mela bella mela succosa. Ecco, prendila!
E la vecchietta le gettò la mela. Il cane fece subito un balzo in alto per afferrarla, ma non vi riuscì, così la fanciulla la ricevette tra le mani.
- Grazie mille, nonnina. Volete entrare a riposarvi? Nonnina, ascoltate, nonnina!
Ma la vecchietta aveva già preso la strada del ritorno. La fanciulla rientrò in casa e riprese a cucire. Com’era bella, lucida, trasparente quella mela! E che buon profumo aveva! Era stata proprio gentile la vecchietta. Ora l’avrebbe mangiata a piccoli morsi. Ma, ahimè, al primo morso la principessa divenne bianca come la brina e cadde senza vita sul pavimento. Quando, a sera, tornarono e sette cavalieri, Sokolka guaiolava tristemente sulla soglia di casa.
- Che hai, Sokolka, da guaiolare cosi pietosamente? Che sia successo qualcosa alla nostra sorellina?
I cavalieri si precipitarono dentro la casetta di legno e con orrore videro la fanciulla senza vita sul pavimento.
- Sorellina, sorellina, rispondi! Cosa ti è successo?
Ma la principessa non rispondeva. Allora uno provò a scuoterla per un braccio, un altro le tastò il polso, un altro le diede dei buffetti sulle guance. Ma ahimè, tutti gli sforzi per rianimarla riuscirono vani. Sokolka allora si accostò ai cavalieri e poi si getto abbaiando sulla mela che era rotolata sul pavimento, la divorò rabbiosamente e giacque morto all’istante.
- Ecco! La nostra sorellina è morta perché ha mangiato quella mela avvelenata! – gridò allora uno dei sette cavalieri.
- Fratelli, abbiamo perso per sempre la nostra cara sorellina! – gemette un altro.
I sette cavalieri s’inginocchiarono attorno alla fanciulla e la vegliarono tutta la notte, senza lasciarla un istante. Appena giunse il mattino costruirono per lei una bella bara di cristallo terso come l’acqua, ve la deposero delicatamente, e la portarono a spalla fino a una caverna lontana. Nell’interno fresco e oscuro appesero la bara a quattro catene che pendevano dalla parete, poi chiusero l’entrata con un grosso sasso, perché nessuno venisse a disturbare il sonno eterno della fanciulla, e tornarono a casa in silenzio, a testa china.
Il principe Elisseo era giunto lontano dal castello, in luoghi a lui sconosciuti. Si era perso in un bosco fitto e intricato che non gli lasciava vedere neppure un pezzettino di cielo. Ma infine, ecco dal folto del bosco uscì in una raduna luminosa e, volgendo in alto lo sguardo, rivide il sole in tutto il suo splendore.
- Ascoltami, o sole! – gridò, levando in alto le braccia. –Tu che cammini splendente nel cielo e scorgi tutto il mondo sotto di te, tu che rischiari anche gli angoli più nascosti e remoti della terra, dimmi: non hai visto per caso la figlia dello zar, una fanciulla bellissima, dal volto luminoso come uno dei tuoi raggi?
- No, mio giovane principe, non l ho vista – rispose l’ardente sole. – Attendi però l’oscurità e chiedilo a mia sorella luna. Può darsi che ella l’abbia vista errare nella notte o che, almeno, ne abbia scorto le tracce.
Il principe attese. Tutto il giorno attese nella radura. Scese la sera e la luna scintillante s’innalzò nel cielo.
- Luna, amica luna, ascoltami! – implorò Elisseo, tendendo le braccia verso di lei. – Tu che inargenti le sabbie del deserto e fai brillare l’acqua del mare, non hai visto per caso, piangente e sperduta in qualche luogo lontano, una fanciulla dagli occhi dolci come il tuo chiarore?
- No, mio prode Elisseo, non ho visto la fanciulla. Eppure io veglio sul mondo tutte le notti … ma non perderti d’animo, chiedilo a mio fratello vento. Forse potrà aiutarti.
Il principe corse al galoppo sul suo cavallo. Arrivò su una cima battuta dai venti. Gli alberi si scuotevano da ogni parte come in una danza selvaggia, il vento passava fischiando e ruggendo nelle grotte, tra i rami, tra le felci e i picchi rocciosi, e tutto sradicava, sconvolgeva, distruggeva.
- Vento, vento ascoltami dunque! – gridò il principe Elisseo, cercando di superare con la voce il clamore della tempesta. – Tu che addensi le nubi, tu che fai fremere il mare e corri ovunque libero e indomito, non mi sapresti dire se hai visto in qualche remota contrada la giovane figlia dello zar, la mia fidanzata?
Il vento si avvolse attorno al principe in un vortice ruggente.
- La figlia dello zar? Si, l’ ho vista, Elisseo. Laggiù in fondo, al di là di quella montagna, vi è una grotta fredda e oscura e dentro quella grotta c’è una bara di cristallo che ondeggia tintinnando a ogni mio soffio … e dentro quella bara vi è la tua fidanzata, Elisseo!
Il principe Elisseo divenne più pallido della cima del monte incappucciata di neve, diede un colpo di sprone al cavallo e corse via in fretta, sempre più in fretta verso quella grotta che imprigionava per sempre la sua principessina. L’alta montagna fu superata in un attimo; una radura deserta si stendeva ai suoi piedi, una grotta tenebrosa si apriva sul fianco della montagna …Il principe smontò da cavallo, spostò la pietra che chiudeva l’ ingresso ed entrò correndo nella caverna. Ecco, in mezzo alla grotta , come aveva detto il vento, una bara di cristallo ondeggiava dolcemente e, nell’interno, dormiva il suo lunghissimo sonno la principessa.
- Perché, cristallo crudele, la tieni prigioniera? Chi l’ ha chiusa l’ dentro? Oh, ridammela, ridammela,! – E, in un impeto di dolore, Elisseo spezzo la sua spada sulla bara.
Con un gaio tintinnio il cristallo andò in frantumi e nella bara spezzata la fanciulla tornò in vita. Si guardò attorno con occhi pieni di stupore, poi, scorgendo Elisseo davanti a sé, gli sorrise mormorando:
- Che lungo sonno ho fatto, Elisseo! Ho sognato di essere in un letto di cristallo. La pioggia mi cantava una dolce ninnananna e il vento mi cullava e mi raccontava le sue storie meravigliose. Ma dove sono? E che è mai questa caverna scura e tu come hai fatto a giungere fin qui?
- Ti ho cercata a lungo, principessa. Ho interrogato il sole, la luna e il vento. Ho galoppato per radure deserte e per foreste così fitte che non vi giungeva la luce, e infine ti ho trovata. Ora torneremo insieme al castello, dove tuo padre ti aspetta, e diverrai subito mia sposa.
Poi il principe, raggiante, prese tra le braccia la principessa e la portò fuori dalla grotta, alla luce splendente del sole. La fece salire sul suo cavallo e tornò al gran galoppo verso il castello. Lungo la strada fecero una sosta davanti alla casetta del bosco e invitarono alle nozze i sette cavalieri che avevano ospitato e protetto la sua fidanzata. Quando i due principi giunsero nei pressi del castello, la malvagia zarina era affacciata a una finestra.
Ella li scorse da lontano e, nel vedere la principessa viva, felice e più bella di prima, provò un tale accesso di rabbia e di paura che corse a rifugiarsi nella foresta e nessuno la rivede mai più.
Lo zar abbracciò teneramente la figlia e benedisse i due giovani, felice di averli ancora accanto a sé. Il mattino dopo si celebrarono le nozze e si fecero un grande banchetto. Vi furono più di mille invitati, si bevve birra e idromele a ruscelli e i sette cavalieri fecero il brindisi ai due sposi augurando loro molti anni di felicità, mentre i grandi girasoli volgevano il capo ridendo verso il sole d’estate e le spighe s’agitavano tremule al vento.